«Sul palco gioia e grande forza. Solo la burocrazia per lui era lavoro»

PADOVA.
«La musica non era lavoro, per Claudio era vita, energia, era gioia». Clementine Hoogendoorn, in Scimone dal 1964, a poche ore dalla scomparsa del marito si tiene stretta ai ricordi. Gira per la loro casa in piazzale Pontecorvo, un piccolo museo che racconta parete dopo parete, stanza dopo stanza, la vita del maestro. Grande e sobria insieme.
«Per Claudio la musica era tutto» racconta la moglie, «l’unica parte che considerava lavoro era quella burocratica. Per il resto non gli è mai pesato quello che faceva, anzi. Ne traeva forza. Anche quando stava male, saliva sul palco e tutto passava. Magari i dolori tornavano appena finiva il concerto. Ma durante, me lo diceva sempre, era come se tutto sparisse. C’erano lui, i musicisti e la musica». E la musica riempiva quasi tutto il tempo del maestro Scimone. «Il poco tempo libero lo dedicava alla famiglia e agli amici. Ha sempre coltivato l’amicizia come un sentimento molto importante» racconta la donna, «gli piaceva molto stare con gli amici più intimi, a cui era più legato».
Claudio Scimone ha conosciuto Clementine Hoogendoorn, di origine olandese, al conservatorio di Milano nei primi anni Sessanta. «Io studiavo in Italia» racconta la moglie, che è flautista, «e dopo che ci siamo conosciuti praticamente non ci siamo lasciati più. Ci univa l’amore per la musica ma anche per la vita semplice, le cose concrete. Eravamo giovani con tutta la vita davanti, i sogni e le speranze di quell’età. È stato bello crescere insieme, nella vita e nel lavoro. Ora quasi non immagino cosa sarà senza di lui al mio fianco».
Nel grande salone illuminato c’è uno degli strumenti più cari al maestro: «È un clavicembalo» spiega Clementine accarezzandolo quasi fosse un essere vivente che chiede affetto. Apre delicatamente la parte superiore e mostra i tasti: «È la copia di quello di Bach, non è stato facile averlo, Claudio ci teneva molto». Intorno è una carrellata di ricordi, tra premi, riconoscimenti, targhe e fotografie. Scimone sempre sorridente. Tutto esposto con sobrietà e in grande ordine. Non si ha la sensazione di essere di fronte all’ostentazione di meriti e risultati - eppure quanti ce ne sono - quanto piuttosto di un invito alla condivisione. «È difficile, impossibile per me in questo momento raccontare i nostri ricordi. Ce ne sono tanti, tantissimi, belli. Abbiamo fatto tanti viaggi, Claudio era molto curioso e attento, con lui c’era sempre qualcosa da imparare, non dava mai nulla per scontato» rivela la donna passando davanti a una parete dove sono appese numerose mappe antiche.
Clementine Hoogendoorn passa da una stanza all’altra e quando le si chiede di raccontare com’era il marito allarga le braccia, indica foto e appunti sparsi, libri e strumenti musicali: «Claudio era tutta musica. E quello che era per lui lo voleva trasmettere. Ai giovani in particolare. Da tre anni abbiamo fondato un’Accademia che grazie a borse di studio finanziate da privati consente a giovani talenti di studiare ed emergere. Quando riconosceva un talento Claudio non lo abbandonava. Si appassionava e si impegnava molto per spronare i ragazzi. Sicuramente questo progetto proseguirà, non potrei mai interrompere questo percorso. Il mondo è un posto migliore con la musica e quello che ha fatto Claudio per coltivarla non sarà un lavoro che andrà disperso. Ci impegneremo tutti per proseguirlo come lui avrebbe desiderato». —
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