Tracheotomia in ritardo a Padova, maxi-risarcimento
In primo grado un vizio di forma e il giudice onorario ha prosciolto le due anestesiste imputate di lesioni gravissime, le dottoresse Antonella Dal Palù e Graziella Pengo. La sentenza, impugnata dalla Procura generale di Venezia, è finita solo dopo quattro lunghi anni in Cassazione.
Di fronte ai tempi biblici di una giustizia penale più di nome che di fatto, la famiglia ha revocato la querela. Ma, almeno, ha ottenuto ragione in sede civile e un maxi-risarcimento che garantirà un adeguato trattamento a Elena, in coma irreversibile da quando partorì il suo unico figlio ad appena 34 anni: oltre un milione e mezzo di euro è la somma riconosciuta alla sfortunata mamma, tutelata dagli avvocati vicentini Paolo Mele senior e Luca Tessarolo.
Una mamma, originaria di Campodarsego che non potrà mai abbracciare il suo bimbo, quattro anni il prossimo 28 aprile. Lo ha stabilito il giudice civile di Padova Guido Marzella che ha riconosciuto la responsabilità medica. Il ristoro, comunque, non restituirà la vita alla sfortunata Elena, invalida al 100 per cento, costretta a vivere il resto dei suoi giorni in quel corpo fragile, magro e “assente” stesa in un letto del centro Bonora di Camposampiero.
«La condotta dei sanitari, gli specialisti in anestesia e rianimazione intervenuti a fronte dell’urgenza della signora colta da gravissima insufficienza respiratoria sfociata in arresto cardio-circolatorio, è stata gravemente imperita e negligente per la mancata adozione di manovre salva vita e di una tracheotomia d’urgenza» scrive nelle sue conclusioni il medico legale Gloria Castellani di Verona, consulente del giudice Marzella. Il risultato? «Una prolungata ipossia (la carenza di ossigeno ai tessuti) e quindi anossia cerebrale (mancanza di ossigeno al cervello), ragione del coma neuro-vegetativo ora perdurante» ancora l’esperta. Netta la conclusione: «Una tempestiva tracheotomia avrebbe con elevata probabilità modificato l’epilogo dei fatti consentendo un’adeguata ossigenazione e l’espletamento del parto per taglio cesareo in sicurezza... con mantenimento delle funzioni cerebrali». Ecco l’errore perché «quanto più rapidamente è effettuata la manovra tracheotomica, tanto è minore il rischio di danni irreversibili»
. Quattro minuti è il tempo medio per provocare danni cerebrali irreversibili ma l’intervento «è potenzialmente eseguibile in un tempo anche inferiore, dietro mani esperte quali quelle dello specialista anestesista». La paziente era in «una condizione di gravità reversibile, sotto il profilo respiratorio». Tuttavia il tempo intercorso tra la crisi respiratoria (alle 19.50) e la tracheotomia (ore 20.10) «è del tutto ingiustificabile a fronte della presenza di più anestesisti che avevano contezza della grave condizione anatomo-disfunzionale delle vie aeree della paziente e avrebbero dovuto intervenire con la procedura di apertura delle vie aeree in urgenza...».
È il 25 aprile 2016 quando Elena si presenta nella Clinica di Ginecologia dell’Azienda ospedaliera di Padova: il quadro clinico convince i medici a programmare un taglio cesareo. La donna era affetta da una stenosi, un restringimento delle vie aeree, da qui la scelta di prevedere per il 29 una “tracheotomia di protezione”, come prevenzione di fronte a possibili emergenze. Purtroppo l’emergenza scatta prima, la sera del 28. Elena va in crisi respiratoria: già cianotica, è trasferita in sala parto alle ore 19.57. Alle 20.07 il taglio cesareo: il piccolo nasce vivo e sano. Durante quel tempo gli anestesisti praticano le manovre di rianimazione cardio-circolatoria, ma solo con l’intervento con dell’otorinolaringoiatra che effettua la tracheotomia, la paziente riprende la funzione respiratoria .
Troppo tardi. Eppure sarebbe bastata una cannula o un bisturi in mano all’anestesista, per evitare il punto di non ritorno. —
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