Un ettaro di Provenza sotto il Montericco

ARQUÀ PETRARCA. La piccola Provenza della lavanda è nei Colli Euganei. Nel borgo del Petrarca, in via Palazzina (la tortuosa strada che raggiunge Monselice partendo dal cimitero arquesano costeggiando le pendici del Montericco), nell’ettaro “viola” del Lavandeto di Arquà Petrarca. Un museo a cielo aperto dedicato alla lavanda, più che un’azienda.
Quasi un unicum in tutta Italia, se è vero che solo qui sono coltivate ben novanta tipi di lavanda. Si può percorrere tutta la penisola, ma così tante varietà di lavanda si trovano solamente in questo angolo di paradiso fucsia.
Ad assicurarlo è orgogliosamente Cristina Salvan, perito agrario che ha fondato il Lavandeto sei anni fa assieme al marito Roberto Bressanin: «Arrivavo da quindici anni di esperienza nell’azienda vitivinicola di mio padre e da altri dieci di pausa dal lavoro per dedicarmi alla famiglia. Volevo inventarmi qualcosa di originale, ma che fosse allo stesso tempo remunerativo. Passeggiando per Arquà mi sono accorta che ogni casa, in giardino, ha una pianta di lavanda, e ho cominciato a fare alcune prove».
Con successo, visto che il microclima di questa zona dei Colli Euganei si sposa perfettamente con le esigenze di questa pianta. «In sei anni ho portato nel Lavandeto ben novanta specie di lavanda: dai vivai di tutta Italia, ma anche da Olanda, Francia e Spagna».
Salvan è sicura: un simile “campionario” di lavanda non si trova in alcuna parte d’Italia, se non forse ad Assisi o Albenga. Il Lavandeto è specializzato nella coltivazione delle “angustifolie”, qui presenti in oltre quaranta varietà, caratterizzate da piante dai 20 ai 60 centimetri, senza legno e pure commestibili. In così pochi anni l’azienda di Arquà è arrivata a commerciare quasi 30 mila piante all’anno, rigorosamente “fatte a mano”: a marzo e settembre la Salvan si dedica alla produzione delle talee in serra, che una volta radicate vengono spostate in vasi più grandi e sistemate all’aperto, pronte per essere vendute. Nell’ettaro di terreno a disposizione dell’azienda, chiunque può arrivare e scegliere il tipo di lavanda che preferisce.
Alcune piante sono veri e propri pezzi “pregiati”, come la “thumbelina leigh”, pianta inglese dalla spiga piccolissima che fiorisce in continuazione fino ad ottobre ma che è veramente delicata da crescere. Oltre al viola della lavanda “tradizionale”, poi, è facile imbattersi pure nelle meno note “stoechas bianche”, o in altri esemplari delle specie pinnate, dentate, latifoglie o lanate. Da qualche tempo il Lavandeto ha pure cominciato a produrre oggettistica con lo sgranato di lavanda, olii essenziali, prodotti di cosmetica, cercando di educare gli acquirenti anche alle possibilità edibili della lavanda.
«Vogliamo veramente educare la gente a questa pianta» conferma la Salvan «che troppo spesso viene identificata solamente con gli ibridi che vengono venduti dalle grandi aziende che producono in maniera intensiva». Per questo spesso e volentieri il Lavandeto è aperto al pubblico per giornate di festa e di approfondimento, che diventano veri e propri momenti per gustarsi la magia del mare di lavanda viola inebriati dal suo profumo e scottati dal sole che batte nel catino degli Euganei.
«Il recupero della lavanda in questo territorio ha anche un forte legame col passato» racconta la Salvan «Qui molti una volta la coltivavano. Casualmente ho conosciuto la storia di un mio parente, al quale era stato affidato al ritorno dalla guerra un pezzo di terreno, destinato alla produzione di lavanda. Ad Arquà, ad acquistare le sue piante, arrivava addirittura il padre della storica Brillantina Linetti, prodotto veneziano reso immortale dal Carosello».
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