Uomo d’onore di Cosa nostra luogotenente del boss Di Maggio

Giuseppe La Rosa una volta in Veneto ha intrapreso diverse attività imprenditoriali, tessendo contatti e complicità a largo raggio 

il ritratto

Non è una figura banale quella di Giuseppe La Rosa, arrestato l’altro giorno, uomo d’onore di Cosa nostra, luogotenente, e autista, del boss Balduccio Di Maggio, successore e antagonista di Giovanni Brusca e capo del mandamento di San Giuseppe Jato, reduce della faida tra Balduccio di Maggio e Brusca dove perse il suocero e il cognato, collaboratore di giustizia. Arrivato in Veneto ha intrapreso diverse attività imprenditoriali tessendo contatti e complicità a largo raggio. Chi ha avuto a che fare con lui lo descrive arrogante. Ed è stato proprio questo tratto a metterlo nei guai.

Tra i suoi obblighi di collaboratore di giustizia Giuseppe La Rosa avrebbe dovuto comunicare ogni anno, negli ultimi dieci anni, la variazioni del suo reddito e del suo giro d’affari. Cosa che non si è mai “abbassato” a fare. E per questo la Guardia di Finanza è andata a rovistare tra i suoi affari. La Rosa era nel frattempo rimasto invischiato in un’importante inchiesta per truffa in compagnia di personaggi del calibro di Fortunato Multari – condannato nel gennaio di quest’anno per estorsione, resistenze a pubblico ufficiale e associazione a delinquere di stampo mafioso –, Francesco Frontera – condannato a 8 anni e 10 mesi nel processo Aemilia – e Federico Turrini, Giuseppe Zambrella e Patrick Halabica, quest’ultimi condannati nel procedimento Aspide, la finanziaria con sede a Padova, specializzata nell’usura e nelle bancarotte fraudolente.

L’accusa è quella di aver preso in consegna merce che avrebbe dovuto arrivare ai legittimi destinatari all’estero e averla invece rivenduta. Una truffa per 900 mila euro di merce rubata. Ma nel suo portafoglio di relazioni ci sarebbero, secondo i risultati delle indagini delle Prefetture di Padova e Verona “soggetti dall’acclarato profilo criminale” come i ’ndranghestiti Santo Maviglia o mafiosi come Ignazio Mustacchia. L’ipotesi è che La Rosa, per il suo notevole spessore criminale, dalla residenza di Megliadino San Vitale sia stato in realtà in grado di connettere e attivare collaborazioni tra gruppi diversificati in tutto il nordest. Due società di La Rosa sono state oggetto di interdittiva antimafia da parte delle Prefetture di Verona e di Padova: la Commercial company che si occupa di commercio all’ingrosso di pellet e legna da ardere, carta e cartoni, venduta nel luglio 2016 al nipote Michele Lo Greco, ma di fatto sotto il suo controllo e la R. M. Trasporti srl – sede legale a Megliadino San Vitale in via Bovoline 1 bis – a capo della quale aveva messo una testa di legno.

Nelle interdittive un passaggio significativo, sottolineato dagli inquirenti: lo studio Silvestrini&Partners di Nicola Silvestrini di Legnago, anche lui finito nell’inchiesta della Guardia di Finanza, oltre a quella di La Rosa, cura la contabilità di un’altra famiglia dal passato ingombrante e residente nella Bassa: i Diesi, proprietari di diverse attività tra la bassa veronese, il Polesine ed Este e oggetto di ben interdittive antimafia. Le coincidenze, alle volte. —

Giovanni Belloni

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