Vov, grappa Modin, birra Cappellari e amaro Bareggi Della patavinitas di quei marchi ora resta solo il ricordo
H olly Higgins solleva il siparietto della sua microgonna, inforca la moto e dice: «Non so voi, ma io bevo Aperol». In Carosello, Tino Buazzelli, portandosi la mano alla fronte, esclama: «Ah! Aperol», gesto e parole diventano un tormentone che rompe le scatole a mezza Italia. Questi i fasti dell’Aperol ancora padovano, della ditta Barbieri prima che questo gioiello della liquoristica passasse di mano, prima alla Barbero, poi al gruppo Campari. L’Aperol di Giuseppe Barbieri viene presentato al pubblico nel 1919, in occasione della prima Fiera Campionaria. E’ bello, di colore rosso-aranciato, è leggero, 11 gradi, un’infusione in alcol di arancia, genziana, rabarbaro e altre erbe, la ricetta era segreta ed è rimasta tale.
La Barbieri, quando nasce nel 1880, ha sede in via Nicolò Tommaseo. Nel 1912 si estende grazie all’attività dei figli di Giuseppe, Silvio e Luigi. Silvio nel 1921 fa parte del consiglio di amministrazione della neonata Fiera di Padova, motore di un’economia frastagliata nel primo dopoguerra, e questa appartenenza dà fiato al piglio imprenditoriale e innovativo della ditta. E’ di quegli anni un grande manifesto a colori dell’Aperol. La famosa A, antropizzata, con nasone e occhi strizzati da un sorriso, indossa una cappello di tipo natalizio e dà in omaggio l’Inno dell’Aperol, musica di P. Paperini, parole di G. Adami. Il Novecento si era aperto con le parole di Andrea Costa, il profeta del socialismo: «E’ l’alba del nuovo secolo, gettate fiori a piene mani, lavoratori, pensatori, uomini». Nella liquoristica, oltre alla Barbieri, c’era la Pezziol, che avrà diversi passaggi di proprietà, pur conservando il nome del fondatore. I prodotti caratteristici del tempo, oltre a Aperol, il Vov, ricostituente, eccellente dopo un’avventura amorosa, il Cynar, l’aperitivo Pezziol a base di carciofo, la grappa Modin di Ponte di Brenta, la birra Cappellari, la Crema Cioccolato Fert di Enea Zoin, l’amaro Bareggi. Della “patavinitas” di questi marchi ora è restata l’etichetta, da collezione.
Aldo Comello
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