Boccioni al Mart il maestro dei futuristi tra genio e memoria

A cento anni dalla scomparsa, un percorso che conduce nelle pieghe della tumultuosa vicenda artistica del genio
Di Virginia Baradel

di Virginia Baradel

Dopo la tappa d’esordio a Palazzo Reale a Milano, la mostra del centenario della morte di Umberto Boccioni è ora in corso al Mart di Rovereto sino al 19 febbraio. Stessa impostazione e pochi cambi di opere, eppure è una mostra diversa. Un po’ perché la ricchezza di riscontri, scaturiti dalla scoperta dell’album di ritagli del giovane Boccioni, riserva sempre nuove sorprese, un po’ perché il Mart brilla di luce propria per opere boccioniane e futuriste, per copiosi materiali d’archivio sul tema, e per il futurismo d’ambiente, visto che siamo nel dominio territoriale di Fortunato Depero. La stessa disposizione a raggiera delle sale traccia le direzioni di un nuovo percorso che ci introduce nelle pieghe della tumultuosa vicenda artistica del genio futurista. Tutto ruota intorno alla prima sala dove sono esposti i ritagli del grande album che, donato dalla sorella Amelia nel 1955 e riscoperto da Agostino Contò nella biblioteca di Verona, ha costituito un inedito repertorio di opere antiche e moderne, che nessuno avrebbe mai pensato potesse interessare al focoso inventore dell’arte futurista. Ma a quel tempo Boccioni aveva ancora i vent’anni avidi di ricerca e di grande scontento: la sproporzione tra ciò che possedeva e ciò che avrebbe voluto avere e sapere gli procurava un continuo tormento. Una ferita aperta che cercava di riempire con provviste onnivore attinte da ogni secolo: dall’arte ellenistica al verismo a portata di mano, dal rinascimento al simbolismo più ermetico. Amava perdutamente Dürer che nei Diari, coevi all’album, definisce “immenso”: miracolo di fedeltà assoluta, mirabile evidenza del dettaglio inserito nella verità del mondo visibile eppure misterioso. Ammirando poi dipinti come Elasticità o sculture come Forme uniche di continuità nello spazio, si fatica a capire come l’inventore del dinamismo in pittura e scultura abbia potuto amare il maestro tedesco. O forse no, perché solo dall’incessante desiderio di comprendere i segreti dell’arte, poteva scaturire la rivoluzione delle forme.

La mostra del centenario rimarca dunque la propria originalità e Francesca Rossi, che l’ha curata, è riuscita a intercettare parecchi originali che Boccioni aveva visto in Biennale o riprodotti sulle riviste. E dunque il visitatore si domanda cosa potesse aver visto nella Desolazione di Vela, o nel Cherubino di Mozart di Blanche, o nel Ruscello di Zorn. Bellezza, seduzione, qualità di pittura e di scultura. Esattamente quel che vediamo noi oggi, al netto dei dictat delle avanguardie. Opere che pochi anni dopo, nel furor teorico e sperimentale del futurismo, sarebbero diventati bersagli da colpire e abbattere. Per Boccioni gli anni dell’album sono quelli in cui tenta la via del divisionismo spiritualista di Previati, superando la versione realista di Balla. Parliamo dei primi anni milanesi tra il 1907 e il 1909, anni in cui divora monografie, saggi critici e articoli di riviste comparsi soprattutto su “Emporium”. Molti dei ritagli vengono dalle prove stampa per la rivista più aggiornata in circolazione tra gli addetti ai lavori. È il tempo del simbolismo e dell’espressionismo, della scoperta di Redon, Rops e Munch, mentre non si attenua la passione per Segantini. Nessun rombo, nessuna deflagrazione agita ancora i suoi sonni, ma tensioni primordiali, tenebre e visioni che riecheggiano, ad esempio, nei ritagli della Danza della morte quale si configura nella moderna grafica tedesca. L’opera più significativa di questo periodo è la complessa allegoria Beata solitudo, sola beatitudo esposta nella mostra anche nella versione dello studio preparatorio. Archetipi di vita e morte, storia antica e mondo moderno sono sovrastati da una figura meditativa che evoca la Melancolia di Dürer. Una sala è dedicata al soggetto femminile: alla madre che Boccioni amava profondamente, alla sorella Amelia, a Ines amica e amante dai tempi della giovinezza patavina, e alle donne che ritrasse mutando il suo stile dal divisionismo al futurismo sino ai fluidi rottami di Antigrazioso. Controluce, la madre vista di schiena, è un capolavoro che appartiene alle collezioni del Museo: è il punto d’arrivo dei giochi di luce condotti su filamenti di colori puri. Siamo nel 1910, l’avventura futurista è all’inizio. Boccioni pensa a far saltare la continuità della figura per inglobare l’ambiente e immagina, al modo divisionista, che sia la luce a doverlo fare. In Forze di una strada dell’anno dopo, in mostra dal Museo di Osaka, scompone invece figure, case e strade tramite compassi di luce spiovente. Sarà nell’autunno del 1911 che osserverà direttamente a Parigi i cubisti e troverà la chiave del dinamismo plastico basato su roteazioni elicoidali, volteggi a spirale. Elasticità rappresenta un uomo che galoppa squinternato nello spazio. Ci siamo: l’arte non sarà più la stessa. La seduzione delle forme ora avrà un nuovo vangelo: non sarà più il peplo svolazzante di Nike sulla prua della nave, né l’aggancio in corsa di Apollo e Dafne a rappresentare il movimento in velocità ma l’homme qui marce deformato dall’aria che sposta e che gli fa spuntare, come a un Mercurio dei tempi moderni, alucce di carne dai muscoli che avanzano.

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