Coraggiosa, scomoda, irriducibile Lina Merlin, una lunga vita di battaglie politiche e civili

PADOVA
Se nella Costituzione c’è scritto che tutti i cittadini “sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso”, lo dobbiamo a lei, irriducibile antifascista, prima donna a parlare al Senato, il 10 giugno del ’48, unica senatrice nella legislatura tra il 1953 e il 1958, sempre in prima linea nella difesa dei più deboli, donne, bambini, braccianti agricoli. Peccato che di Lina Merlin si ricordi – pelosamente – solo la sua lotta contro la prostituzione di Stato, che portò – sessant’anni fa – alla chiusura delle “case chiuse”.
Per restituire un’immagine a tutto tondo a una figura decisiva nella politica e nel costume del dopo guerra è stato promosso mercoledì all’Università di Padova il convegno “Lina Merlin, antifascista socialista senatrice della Repubblica”, organizzato dal Comitato che porta il suo nome, a cui hanno preso parte una quindicina di studiosi, che hanno ricostruito – di fronte a un pubblico costituito anche da 160 ragazzi delle scuole superiori – le diverse facce del suo impegno politico e civile, dalla lotta antifascista al suo ruolo (unica veneta) nella Costituente, dalle politiche di genere alla rivoluzione culturale degli anni ’60.
Dal documentario “Lina Merlin, la Senatrice. Una madre della Repubblica”, proiettato dopo i saluti istituzionali, è emersa la figura di una donna scomoda, dal carattere forte, irriducibile a ogni forma di compromesso, anche se attenta alle esigenze dei più deboli. «Una donna ammirata anche da avversari storici come Oscar Luigi Scalfaro e Giulio Andreotti» dice la curatrice Annamaria Zanetti, coordinatrice scientifica del Comitato « ma che nel 1961 non esitò a strappare la tessera del Psi, in cui aveva militato per 40 anni, per dissidi politici e personali coi dirigenti polesani, nonostante la sua amicizia con Pietro Nenni. Così scomoda che quando morì, novantunenne, nel 1978, l’Avanti non riportò neppure la notizia».
E pensare che quella donna – una maestrina di cui al convegno è stata esibita la prima busta paga (555 lire del 1910) dalla scuola di Brugine – non aveva esitato a sostituire Giacomo Matteotti – lei che non poteva nemmeno votare – in centinaia di comizi in Polesine, quando nel 1924 le posizioni antifasciste del deputato l’avevano messo nel mirino delle milizie nere. Una militanza che le costò la rimozione dall’insegnamento, numerosi arresti e quattro anni di confino in Sardegna, «che scontò fino all’ultimo» racconta Monica Fioravanzo, coordinatrice del convegno con Marco Almagisti «rifiutandosi di chiedere, come fecero gli altri 40 compagni di lotta, una riduzione della pena, imitata solo dall’ex deputato Dante Gallani, che poi sarebbe diventato suo marito».
Gli anni successivi la vedono in prima fila nella Resistenza a Milano, assieme a Sandro Pertini e Lelio Basso, quindi protagonista nella Costituente, dove riesce a imporre nell’articolo 3 la piena parità di diritti tra uomo e donna, e nell’articolo 40 la moderna regolamentazione del diritto di sciopero. Eletta al Senato nel ’48, nel collegio di Rovigo, prosegue la sua lotta per il miglioramento della condizione femminile, senza dimenticare l’impegno per i diritti dei braccianti contro lo strapotere dei latifondisti; nel 1951 – ultrasessantenne – è in prima fila nelle barche che portano aiuto alla gente del Polesine alluvionato (e rischia di annegare cadendo in acqua).
La sua battaglia per la chiusura delle case di tolleranza – sollecitata dall’Onu – dura dieci anni e vede l’Italia arrivare al traguardo ultima in Europa. Per superare le resistenze maschili, annidate anche nel suo partito, Lina Merlin minaccia di rivelare i nomi dei compagni socialisti tenutari di un bordello. «Non pensavo certo di cancellare la prostituzione» avrebbe detto anni dopo a Enzo Biagi «ma volevo almeno evitare che fosse sfruttata dallo Stato». Un’altra grande battaglia di dignità viene combattuta e vinta assieme a un’altra parlamentare veneta, la democristiana trevigiana Maria Pia Dal Canton: la cancellazione dalla carta d’identità della dizione “figlio di NN”, che condannava alla vergogna e alla discriminazione centinaia di migliaia di figli illegittimi. —
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