David Hockney e quei ritratti seriali tra ironia e celebrazione

A Ca’ Pesaro a Venezia in scena la prima mostra in Italia  dedicata a uno dei più noti e affermati artisti figurativi
Interpress/Gf.Tagliapietra.23.06.2017. Cà Pesaro mostra di David Hockney.
Interpress/Gf.Tagliapietra.23.06.2017. Cà Pesaro mostra di David Hockney.
È come un’unica, gigantesca installazione pittorica la sequenza di 82 ritratti (e una natura morta) che costituiscono la mostra di David Hockney che si apre oggi a Venezia (fino al 22 ottobre) alla Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro. Curata da Edith Devaney con la direzione scientifica di Gabriella Belli - direttore della Fondazione Musei Civici di Venezia, che l’ha a lungo “inseguita” - l’esposizione dedicata a uno dei più noti e affermati artisti figurativi contemporanei è certamente la più importante ospitata sino ad oggi nel nostro Paese (sponsorizzata da Crédit Agricole-Friuladria). Segue a ruota la grande retrospettiva sull’opera dell’artista britannico - ma californiano d’adozione e ormai giunto alla soglia degli ottant’anni - appena conclusa a Londra alla Tate Britain e ora a Parigi al Centre Pompidou. Nella triade dei grandi artisti figurativi britannici del dopoguerra che comprende anche Francis Bacon e Lucian Freud, Hockney è certamente il meno inquieto e il più solare.


La condizione umana è l’unico tema protagonista delle straordinarie tele di Bacon, la consapevolezza che la vita rende disperati, infelici, tormentati, in una parola senza speranza. Freud va oltre il realismo e mette in scena con il suo segno potente e quasi espressionista il disfacimento dell’anima conservando l’involucro del corpo, un corpo straziato e flagellato ma pur sempre presente, osservato e scandagliato nelle sue brutture più distorte. Nulla di tutto ciò nella figurazione di Hockney, anche per le sue originarie ascendenze pop, per una visione certamente più ottimistica e vitale dell’esistenza che ne contraddistingue anche la figurazione, la brillantezza dei colori primari che la accompagnano, il valore descrittivo più ancora che evocativo anche di questa nuova serie di ritratti. Ritratti “democratici”, che mettono sullo stesso piano e riproducono con lo stesso linguaggio pittorico, quasi seriale, potentissimi galleristi come Larry Gagosian, ricchi banchieri come Larry Rotschild, colleghi artisti come John Baldessari, archistar come Frank Gehry. Ma anche la sua cuoca e governante, il suo assistente di studio Jean-Pierre Gonçalves de Lima - che ha dato origine a questa serie di ritratti, ripiegato su se stesso in un’immagine di disperazione che ricorda quella di un famoso quadro di Van Gogh -, vecchi amici o figli di essi, suoi familiari. Quella di Hockney è una pittura relazionale, amicale. È come se al centro delle sale di Ca’ Pesaro ci fosse lui al cavalletto intento a ritrarre con cura quasi maniacale i suoi amici. Tutti seduti sulla medesima sedia giallina. Tutti incorniciati dagli stessi fondi verdi o azzurri. Tutti in pose similari, quasi impacciati, con le mani in grembo o appoggiate sulle cosce in una timida ricerca di naturalezza nella messa in posa. Siamo qui su un terreno diverso ma non dissimile rispetto alle raffigurazioni californiane in piscina che hanno reso celebre Hockney soprattutto oltreoceano. Le didascalie che accompagnano questi ritratti suggeriscono tutte l’amicizia di vecchia data dei protagonisti con l’artista o, per i più giovani, i legami che ad essi li collegano. Raramente accetta commissioni, preferisce ritrarre parenti, amici e persone a cui chiede di sedersi per lui. Sospesi tra l’ironia e la celebrazione, questi ritratti ci restituiscono anche la summa del linguaggio pittorico di Hockney nella sua nitidezza anche dal punto di vista tecnico per un artista passato dai disegni a pastello ai dipinti a olio, dai collage fotografici con diversi punti di vista alle stampanti laser, fino ad arrivare ai disegni su iPad. Ma sempre con questa attenzione quasi entomologica alla rappresentazione della figura umana nei suoi diversi tipi. C’è nell’occhio dell’artista partecipazione ma anche distacco, nel modo neutro in cui ci propone i suoi soggetti, come in una quieta ossessione classificatoria. «Come Picasso, quando lavoro - ha detto di recente in un’intervista - mi sento un trentenne. Poi appena smetto sento che non è così. Per questo oggi lavoro più di ieri. Non mi piacciono i vernissage, aspetto che si spengano le luci per tornare qui nello studio. E ricominciare». La mostra a Ca’ Pesaro è accompagnata anche da un’interessante “laboratorio” della Fondazione musei Civici che consente ad ognuno di farsi il proprio ritratto «alla Hockney», partendo da una serie di modelli. Perché l’ironia è anche una specialità della “casa”.


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