Giorgione Una scritta da Sydney riapre il mistero della sua vita

Nell’ultima pagina di una preziosa edizione della Commedia tre righe, un disegno e una data. Ma restano dei dubbi 

Enrico Maria Dal Pozzolo

Giorgione: da sempre elusivo, enigmatico, spiazzante. Ha fatto impazzire archivisti e storici dell’arte. Il suo mito è stato come una sirena che ha irretito gli amanti del Rinascimento di ogni epoca e latitudine, che sono riusciti a elucubrare letteralmente di tutto. Poi all’improvviso, dal deposito di un museo, da una chiesa, da una collezione, o da chissà dove, ogni tanto qualcosa riappare e ci parla di lui: un dipinto o – come in questo caso – un documento conservato in una lontana biblioteca.

La storia è la seguente.

Una delle massime esperte al mondo del maestro di Castelfranco, Jaynie Anderson, si fa capofila di una scoperta che ha dell’incredibile, che nasce dal caso e che viene resa nota dalla più prestigiosa rivista d’arte del mondo: il mensile britannico The Burlington Magazine.

ritmo solenne

Nella biblioteca dell’Università di Sydney si conserva la copia di una pregiata edizione della Commedia di Dante, pubblicata a Venezia nel 1497 con un commento dell’umanista Cristoforo Landino. Esattamente sull’ultima pagina, nella parte alta, compare un’iscrizione – parzialmente lacunosa nella prima riga (tagliata a mezzo, probabilmente quando il volume venne rilegato, si dice nel tardo ’700) – in cui si legge: A dì 17 setenbrio morì Zorzo (n) da Castelo francho d’peste fintore excelentisimo da peste in Venezia de anni 36 & requiese in pace. Ossia: il giorno 17 settembre (mezzo 1510 sembra aprire la riga superiore lacunosa) Giorgione da Castelfranco, pittore eccellentissimo, morì di peste a Venezia a 36 anni e riposa in pace. Dopo excelentisimo, il secondo da peste è cancellato, come se l’estensore della scritta avesse voluto evitare la ripetizione. Come sottolineato nell’articolo, la scelta del termine fintore, invece del ben più prevedibile pintore, ha un sapore molto sofisticato: il fintore – parola usata anche da Leonardo – è colui che “finge” la realtà, il mago della verosimiglianza, il demiurgo di una realtà, appunto, fittizia. L’iscrizione si distende su tre righe e in essa si avverte un ritmo lento e quasi solenne: come se qualcuno che lo conosceva bene (l’età di un altro non la sa chiunque) avesse voluto fissare un’epigrafe personale su un libro, come si vedrà, scelto non a caso. Chi fosse questo amico di Giorgione non si sa. Nel saggio si dichiara che la calligrafia non coincide con quella nota dei documenti relativi ai primi collezionisti di Giorgione, segnalati da un informatissimo patrizio veneziano – Marcantonio Michiel – in un taccuino compilato tra il 1520 e il 1540 circa che si conserva alla Biblioteca Marciana.

Ma quel che ha dell’incredibile è che in basso a sinistra, tracciato a gesso rosso, compare l’abbozzo di una Madonna col Bambino molto simile a quella che si vede in una delle pochissime opere concordemente attribuite al maestro dalla critica: l’Adorazione dei Magi della National Gallery di Londra.

La segnalazione – così come viene presentata – è straordinaria per molte ragioni. La prima è che si dichiara esattamente la data di morte dell’artista, fino a quel momento (sulla base di uno scambio epistolare tra Isabella d’Este e un suo emissario, Taddeo Albano, cui aveva chiesto di informarsi in merito all’esistenza di un dipinto raffigurante una Nocte nell’eredità del pittore) collocata tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre del 1510. La seconda è che si conferma quanto già si sapeva dalle due edizioni delle Vite di Vasari (1550 e 1568): ossia che egli era deceduto di peste (notizia confermata da un documento non da molto pubblicato da Renata Segre sempre sul Burlington Magazine). La terza è che si specifica l’età di 36 anni, retrocedendo la data di nascita tradizionale che – sempre sulla base di Vasari – si poneva al 1477/78.

Matita rossa

La quarta novità – di altra natura – consiste proprio nel disegno sottostante l’iscrizione. A oggi il numero di fogli che gli specialisti accreditano a Giorgione va da uno a quattro: tutti, peraltro, eseguiti a marita rossa. Questo è estremamente sintetico, con tratti angolari che fissano la volumetria delle due figure in maniera molto rapida; gli altri sono più dettagliati e finiti, a partire dal più famoso e sicuro, che descrive un viandante seduto all’esterno delle mura di Montagnana, la città a sud di Padova. Tuttavia, come si sottolinea nell’articolo, tale carattere spigoloso è paragonabile con quello che si ritrova sotto alla pellicola pittorica proprio nell’Adorazione dei Magi di Londra: una tecnica preparatoria schematica abbastanza comune all’epoca, che per Giorgione è stata svelata solo dalle analisi diagnostiche non invasive approntate negli ultimi decenni, in particolare grazie alla riflettografia a raggi infrarossi. Nel disegno si coglie anche un cambiamento in corso d’opera, un cosiddetto “pentimento”: lo si vede riscontrando una seconda figura del Bambino orientata verso sinistra. Lo studio si dilunga in varie ipotesi: immaginando che il primo proprietario del libro possa essere stato lo stesso Giorgione, oppure un suo amico, magari proprio il committente della tavola londinese, forse un membro della famiglia Grimani. tutte suggestive e indimostrabili. Alcune altamente improbabili.

i PUNTI INCERTI

Quali sono i punti incerti della scoperta?

Non è noto quando il volume entrò nella biblioteca australiana: alcuni indizi suggeriscono che sia stato donato tra il 1914 e il 1959, probabilmente dopo il 1928. Era un periodo in cui il nome di Giorgione avrebbe fatto la fortuna di qualsiasi libraio e collezionista. Ci si chiede come sia possibile che chi l’ebbe avuto in mano allora non se ne sia accorto. La cosa non è impossibile, ma appare molto strana. Come mi fa notare uno specialista di archivi lagunari del ’500, Giuseppe Gullino, la scritta difficilmente può spettare a un veneziano: è difficile imbattersi in termini come Castelo francho, fintore ma soprattutto Venezia, grafia rarissima e usata in contesti riferibili a stranieri, perché i veneti scrivevano Venetia o Venexia. Anche il compendio sopra la seconda o del nome Zorzo – un trattino che trasforma la chiusura della parola da Zorzo a Zorzon – sorprende un po’, in quanto in tutti i primi documenti che lo riguardano (dal 1506 al 1528) il pittore era sempre e solo definito Zorzi, o Zorzo: l’accrescitivo si registra a partire dal 1548 e dal 1550 in cui lo usano Paolo Pino e Giorgio Vasari.

come un disegno

Ma le nubi si addensano soprattutto dal punto di vista paleografico. Me le segnala il prof. Massimiliano Bassetti, dell’Università di Verona, al quale ho chiesto un’opinione. Secondo Bassetti la scrittura della nota presenta alcune caratteristiche esecutive eccentriche, tali da suggerire una certa estraneità di chi la scrisse con il modello grafico adottato. Tale circostanza si verifica tanto nel caso di scriventi “deboli”, che faticosamente disciplinano le proprie mani (magari con l’ausilio di esempi prescritti) per realizzare brevi testi nelle scritture dei propri tempi, quanto nel caso di scriventi che, con le più diverse intenzioni, riesumano – magari solo per brevi note – modelli grafici usciti dall’uso: insomma, imitano una grafia per loro non consueta. In simili casi di esemplazione, essendo ormai irricostruibile la vera norma grafica di riferimento, le scritture risultanti appaiono, appunto, più “disegnate” che scritte. In assenza di esami più approfonditi, da condursi sull’originale, è pressoché impossibile prendere definitivamente partito in merito al problema. Ma qualche dubbio si può sollevare.

Qualora tali dubbi venissero confermati anche da altri specialisti di paleografia, bisognerebbe dunque impostare la questione anche da un altro versante, non considerato dagli studiosi firmatari dell’articolo: ossia quello che contempla la possibilità che iscrizione e disegno non siano originali. In tal caso bisognerebbe supporre che il prodotto sia stato confezionato dopo il 1888 in cui Luzio rese nota la corrispondenza di Isabella d’Este sopra menzionata che ci informa di una morte del maestro avvenuta prima del 25 ottobre del 1510 – e dopo il 1889 in cui l’Adorazione dei Magi (che era stata acquisita dalla National Gallery di Londra nel 1884), cominciò ad essere catalogata con il nome. Erano tempi in cui i falsi Giorgione fioccavano. Ovviamente in forma di quadri, ma anche di documenti. Proprio allora, infatti, l’autorevole archivista Giuseppe Marino Urbani de Gheltof aveva cominciato a confezionare falsificazioni documentarie relative ai protagonisti della storia della Serenissima: tra esse una riguardò proprio il maestro di Castelfranco, del quale avrebbe recuperato un atto (poi mai più recuperato) relativo a quattro quadri raffiguranti il profeta Daniele, che nel 1878 faceva pubblicare allo storico più prestigioso di Venezia, Pompeo Molmenti. Non sarà magari questo australiano il caso: ma – di fronte a nomi così importanti – la prudenza non è mai troppa e almeno porre il dubbio male non avrebbe fatto.

Recupero epocale

Se invece è tutto buono e giusto, allora possiamo ringraziare il cielo per un recupero davvero epocale, che dimostra un assioma che spesso si riscontra tanto nella storia dell’arte quanto nella vita: ossia che più si cerca meno si trova, mentre quando non si cerca, a volte la vita ti sorprende e ti lascia a bocca aperta. —





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