Il gentiluomo che restituì la storia a Venezia

Francesco Valcanover se n’è andato ad un’età tizianesca, novant’anni. La sorte ha voluto che nascesse a Belluno, quindi assai vicino alla Pieve di Cadore del suo amatissimo Tiziano, ma le radici di una onoratissima esistenza da servitore dello Stato si trovano per intero in Trentino. Precisamente in località Valcanover. Personalità dal carattere schietto, riservato ma,ove ce ne fosse stato il bisogno, capace di essere brusco,ovvero sincero, cioè liscio come l’arguzia ruscellante di certa gente di montagna.
Uno dei miei primi incarichi da neolaureato in storia dell’arte fu quello di rivedere alcune schede di una celebre Enciclopedia, a proposito di chiese e antiche case sparse nelle montagne bellunesi.
Fu così che conobbi uno storico dell’arte molto esperto di cose trentine e dell’alto Veneto: in assoluto il miglior “consigliere” che potessi avere prima di muovermi alla ricerca di tabià, di incastri di travi detti blockbau, di mulini e piccole chiese. Un caso estremamente fortunato volle che il già sapiente “montanaro” divenisse Soprintendente del Veneto proprio nel 1966, l’anno dell’impressionante acqua alta a Venezia e in laguna.
Acqua cattiva che si portò via “gran parte dell’archivio di schede e fotografie” relativo all’immenso patrimonio d’arte e di storia di Venezia. Un archivio verso cui erano affluite, nel corso del tempo, altre fondamentali documentazioni provenienti dalla maggior parte dei paesi europei. Una mutilazione dolorosa della memoria, nel suo genere materiale, della storia di Venezia e del Veneto.
È in quei giorni che Valcanover dà inizio ad un’opera gigantesca di restauro e catalogazione, di programmi per la tutela e la ricerca storico-artistica e scientifica, di indirizzi innovativi in materia di manutenzione di quanto sarebbe stato salvato e recuperato. Attorno a sé e ai drammatici problemi della salvaguardia di Venezia riunisce i maggiori storici dell’arte del XX secolo, i grandi maestri del restauro moderno (da Cesare Brandi a Giovanni Urbani), i più responsabili mecenati su cui Venezia potè fare allora affidamento.
Questo “veneziano” venuto dai monti (e tornato lassù non appena ebbe concluso il suo impegno pubblico) fu, al contempo, straordinario operatore nel suo saper essere programmatore formidabile di restauri eccellenti, ma anche ambasciatore su scala mondiale delle necessità della Venezia “ferita a morte” dal terribile novembre del 1966.
Insomma, storico dell’arte certamente (fondamentali i suoi studi tizianeschi), ma anche agguerrito e incisivo uomo dello Stato in campo culturale.
Infaticabile nel creare strumenti di lavoro e di studio che supportassero adeguatamente gli obiettivi della tutela e della futura manutenzione.
Di qui laboratori di restauro, centri per la catalogazione,pubblicazioni, nonché alcune grandi esposizioni, di sicuro non ascrivibili al genere delle occasionalità effimere. Tra l’altro, profonde tracce del suo carismatico impegno le ritroviamo nelle vicende dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti, che per molti anni lo ebbe come amministratore.
Fu un gentiluomo della cultura, apprezzato come tale negli Uffici della Soprintendenza di Venezia e in ogni altro luogo dove la storia dell’arte richiedesse sapienza istituzionale,esperienza amministrativa, ricerca di apporti scientifici indiscutibili e di sostegni finanziari rivolti ad un unico scopo: la conservazione del bene culturale.
In tal senso, Valcanover non ebbe mai a distinguere tra opere d’arte maggiori e opere minori. In questo, l’etica del vero storico dell’arte. In ogni caso, difficile ricordare qualcuno che più di Valcanover abbia avuto incontri ravvicinati di primissimo tipo con l’arte, con i capolavori immortali dell’arte veneziana e veneta, dalle Origini al Settecento e oltre.
Che dire di imprese quali il restauro e la ricollocazione del vortice emozionale del Paradiso di Tintoretto nella Sala del Maggior Consiglio o il restauro dello sconfinato soffitto della Chiesa di San Pantalon dipinto dal Fumiani? Oppure del salvataggio dei Tintoretto della Scuola di San Rocco, dei dipinti di Palazzo Ducale, degli apparati scultorei del portale maggiore di San Marco?
Studioso severo e uomo saggio, fino al punto di saper essere molto paziente di fronte alle miserie e alle arroganze di un rozzo ceto politico. Infatti, non sembrò batter ciglio quando l’allora Unione Sovietica gli fece e ci fece il vergognoso sgarbo di rimangiarsi, a pochi giorni dall’inaugurazione della mostra “Giorgione a Venezia” (1978), il prestito della Giuditta dell’Ermitage.
Eppure quel voltafaccia da guerra fredda dovette amareggiarlo non poco, trattandosi di un capolavoro di Giorgione da rimettere per una volta almeno accanto ad un’opera di Tiziano. Precisamente a confronto con uno dei lacerti degli affreschi del Fontego dei Tedeschi.Per essere chiari: con quanto restava di un’altra Giuditta,quella di Tiziano.
Un riaccostamento da leggenda della storia dell’arte: Giorgione e Tiziano, come era accaduto agli inizi del Cinquecento su quel Fontego che ora abbiamo definitivamente perduto. Il Fontego dei Tedeschi, ben si intende.
Con la scomparsa di Francesco Valcanover si chiude una lunga serie di funzionari per davvero al servizio dello Stato e della cultura, che a Venezia ebbe inizio già nel Settecento con Pietro Edwards (senza alcun dubbio un antenato culturale di Valcanover) e che proseguì con i Fogolari, i Moschini,la Nepi Scirè.
Certamente le nuove Gallerie dell’Accademia, dirette da Paola Marini sapranno ricordare nel modo dovuto il lungo 1966 di Francesco Valcanover.
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