Il violino di Giovanni Zanon alla Fenice «Quelle tre settimane sul re maggiore»

l’intervista
VENEZIA
Avevamo lasciato Giovanni Zanon, straordinario talento di Castelfranco Veneto, al Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia, adolescente, il giorno del suo diploma in violino con la lode e la menzione d’onore. Lo ritroviamo ventenne, con più di 170 concerti in tutte le parti del mondo, in procinto di eseguire stasera e domenica, alla Fenice, il Primo Concerto di Bela Bartók, sotto la direzione di Henrik Nánási. Quando ebbe per la prima volta un violino fra le mani?
«Mi hanno raccontato che fu quando avevo poco più di due anni. Mio padre, che suona il pianoforte, aveva avviato allo studio mia sorella maggiore Beatrice, che attualmente è primo violino all’Arena di Verona. Io ero geloso di quel giocattolo sonoro e piangevo perché volevo impadronirmene. Allora ne comprarono uno per me. Adesso le dirò una cosa incredibile. È stato mio padre ad impartirmi i primi rudimenti, avendo come guida un libro scritto dal grande didatta Ivan Galamian, maestro di grandi concertisti alla Julliard School. È paradossale, ma fu una scelta preveggente. Quei principi si rivelarono corretti. Ne avrei avuto conferma iniziando a studiare con Pinchas Zuckermann, a New York».
Ma prima ci sono stati gli anni al Benedetto Marcello nella classe di Roberto Zedda, la vittoria del premio Finzi, la possibilità di suonare con l’Orchestra della Fenice a soli tredici anni…
«Sono stati anni molto fertili, in un ambiente libero e piacevole. Ne ho ricordi bellissimi. Il mio insegnante mi spronava a tentare vari concorsi. Mi affermai in Russia, in Polonia, a New York. Ebbi subito la possibilità di fare concerti. Entrai in contatto con Zubin Mehta che mi segnalò al grande violinista Pinchas Zuckermann che, gravato da più di 150 recital all’anno, non dà lezioni, di regola. Ha fatto eccezione per me e per un altro allievo. Lo conobbi ad Ottawa in Canada. L’impatto fu drammatico. Non volle sentire un pezzo del mio repertorio. Mi chiese di eseguire la scala di re maggiore, sulla quale mi tenne fermo per tre settimane, alla ricerca di un particolare uso dell’arco per perfezionare la tecnica, per ottenere un certa qualità di suono. Dovetti annullare molte serate per cui mi ero già impegnato. Poi il nostro rapporto umano è diventato straordinario. Ci sentiamo continuamente e ci diamo appuntamenti attraverso Skype. Attualmente sto terminando un master a Santa Cecilia con Sonig Tchakerian».
Con la Fenice eseguirà il Primo Concerto di Bela Bartók. Con chi l’ha studiato?
«Nessuno dei docenti con cui mi sono confrontato l’aveva in repertorio. L’ho preparato da solo e lo interpreterò per la prima volta a Venezia. È un lavoro bellissimo. Non capisco perché si senta così poco».
Voi violinisti avete sempre il problema della qualità dello strumento e l’ambizione è di poter disporre di uno degli strumenti storici costruiti dai nostri grandi liutai del Sei-Settecento.
«Anche da questo punto di vista debbo ammettere di essere stato fortunato e di aver potuto accedere spesso a questo straordinario patrimonio. Attualmente suono un Giovan Battista Guadagnini del 1742 che mi ha prestato il collezionista torinese Gianni Accornero».
Con una carriera come questa, è ancora possibile frequentare i propri coetanei?
«Indubbiamente le persone che frequento sono in maggioranza più vecchie di me, ma riesco ancora a mantenere delle amicizie tra i giovani. È stata dura, ma ci tengo a dire che ho appena sostenuto gli esami di maturità scientifica a indirizzo musicale al Liceo Giorgione della mia città».
Ma i ragazzi di oggi amano la musica classica?
«Hanno bisogno di miti, quelli che la musica pop sa creare con la potente sponsorizzazione dei media, che invece occultano la classica e le nuove generazioni così non la conoscono. Internet, i social, spingono poi all’ascolto individuale e molti non hanno mai vissuto la magia di un concerto alla Fenice».
Prossimi impegni?
«Tra i primi, un recital a Firenze e uno a Muscat, capitale dell’Oman». —
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