«La chitarra mancina per ripartire da zero e il mio nuovo disco, il migliore di sempre»

INTERVISTA
Il chitarrista heavy metal Paul Gilbert, mercoledì 24 aprile (dalle 21 alle 22.30 a Ca’ della Nave, Martellago), salirà in cattedra per una masterclass dedicata agli appassionati di chitarra. Il guitar hero durante la lezione eseguirà alcuni brani accompagnato da Lorenzo Miatto (basso) ed Emanuele Pagliuca (batteria). L’evento, organizzato da Pro Futura e Ca’ della Nave, sarà preceduto da un seminario gratuito sui suoni della chitarra, alle 17.30 al ristorante Le Serre. (Prenotazioni: profuturaeventi@ gmail . com).
Gilbert, cosa insegnerà a Martellago?
«A fare rock con un sistema che aiuta a considerare il manico della chitarra come la tastiera di un pianoforte per riuscire a suonare intenzionalmente certe note e lasciarne fuori altre».
Quando insegna, lei a volte suona una chitarra mancina. Perché?
«Quando voglio essere sicuro che le lezioni per i principianti siano sufficientemente facili suono una chitarra mancina per tornare ai tempi in cui la mia tecnica era a zero».
In maggio uscirà il suo nuovo album “Behold Electric Guitar”.
«Sarà il mio migliore disco di sempre, completamente strumentale e tutto registrato dal vivo in studio, senza sovra-incisioni. Suonerò alcuni brani nuovi durante la masterclass, poi in ottobre tornerò in tour in Europa con la mia band».
Il blues l’ha portata a cambiare il modo in cui suona il metal.
«Il metal può essere anche molto melodico ma i cambi di accordi tendono a cadere in un unico centro tonale che ti porta ad attingere tutto quello di cui hai bisogno da una sola scala. I cambi di accordi del blues, invece, se li consideri con attenzione capisci che ti portano a scelte delle note varie e sorprendenti. Il blues mi ha fatto diventare un chitarrista metal migliore, facendo crescere la mia conoscenza dello strumento e il mio orecchio per la melodia».
Quali sono i suoi chitarristi blues preferiti?
«Amo diversi chitarristi rock dal grande suono blues: Jimi Hendrix, Robin Trower dei Procol Harum, Frank Marino di Mahogany Rush, Gary Moore e Angus Young di Ac/Dc. Tra i bluesmen tradizionali mi piacciono B.B. King che è stato grande tanto come chitarrista che come cantante, Johnny Winter, Albert King e Christone Kingfish Ingram. Adoro anche i sassofonisti come Johnny Hodges».
I primi shredders sono stati influenzati da diversi chitarristi degli anni Settanta.
«Posso certamente sentire Ritchie Blackmore e Uli Roth nel modo di suonare di Yngwie Malmsteen. Eddie van Halen ascoltava i Cream e suonava “Going Home” dei Ten Years After».
Il progressive rock l’ha influenzata?
«Quando ero un adolescente ascoltavo Rush, Emerson, Lake and Palmer, Yes, Utopia e Allan Holdsworth».
Lei fa parte di Yellow Matter Custard, Tribute Band dei Beatles. Cosa la affascina di più dei Fab Four?
«Sono cresciuto con i dischi dei Beatles, così la struttura del mio cervello si è formata con le loro canzoni. Mi sarei aspettato che avessero studiato teoria musicale, invece ho capito che imparando tante canzoni riuscirono a padroneggiare anche le armonie più complesse in modo istintivo».
Perché nel 1988 lasciò i Racer X?
«Non riuscivamo più a progredire. Quando Billy Sheehan mi chiamò per formare i Mr. Big, sapevo che sarebbe stata una possibilità per fare un passo in avanti per la mia carriera».
Nel 1997 poi lasciò i Mr. Big.
«Avevamo lavorato costantemente per otto anni e avevamo bisogno di una pausa. Stavo scrivendo della musica che non era adatta ai Mr. Big. Così, lasciai per essere onesto con me stesso».
È stato soddisfatto della reunion dei Mr. Big?
«Mi è piaciuto registrare soprattutto “What If” ma anche gli altri dischi. Sono contento che abbiamo fatto della buona musica con tutti i membri originali, prima che il compianto Pat Torpey cominciasse ad avere problemi di salute». —
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova