La forza dell’innocenza al confine tra bene e male

Basta una lettera a trasformare un perdente in un amante. Così, in inglese, “loser” diventa “lover”. E dei ragazzini “nerd” diventano eroi, l’ultimo baluardo contro presenze demoniache (ma...
Basta una lettera a trasformare un perdente in un amante. Così, in inglese, “loser” diventa “lover”. E dei ragazzini “nerd” diventano eroi, l’ultimo baluardo contro presenze demoniache (ma soprattutto terrene) spaventose. “It”, il capolavoro di Stephen King, è in fin dei conti, un racconto di confine che si muove lungo la linea che divide bene e male, infanzia ed età adulta, innocenza e corruzione. Difficile, per non dire quasi impossibile, tradurre in immagini questa frontiera. Il primo tentativo risale agli anni ’90 con la serie televisiva interpretata da Tim Curry nel ruolo del clown Pennywise, una delle tante forme di manifestazione di “quello”, il demone affamato di bambini che terrorizza la piccola comunità di Derry. Altri tempi, altro linguaggio.


Ci riprova oggi (al cinema però) il regista Andrés Muschietti che proprio in un particolare (uno dei protagonisti porta un gesso al braccio sul quale si legge la correzione della parola loser in lover) sembra evocare il senso ultimo del romanzo, quel dettaglio che fa la differenza nel racconto di frontiera e di formazione che è “It”. Ed evocare sembra proprio il verbo più adatto al film che richiama la pagina scritta senza poterne avere la forza, come si addice a tutti i ricordi, necessariamente un po’ sbiaditi. Non a caso la trasposizione cinematografica di Muschietti non si distingue tanto per l’ambientazione, gli elementi orrifici (a dire il vero molto derivativi, con omaggi aperti al “Nightmare” di Craven) o la riflessione sul male ultraterreno (molto più terreno in un mondo di adulti indifferenti e violenti) del romanzo, ma per l’empatia che è in grado di instaurare con i personaggi, i 7 ragazzini (sei maschi e la fiammeggiante Beverly, l’attrice Sophia Lillis, dal sicuro avvenire) impegnati a difendersi dai bulli e da It alla fine degli anni ’80 (nel libro, la prima parte era ambientata negli anni ‘50), sconfiggendo le loro stesse paure che alimentano e rafforzano la presenza demoniaca. È qui che il film trova riparo dalla critica dei puristi e, anzi, rivendica una propria autonomia, pur debitore di un certo sguardo sull’infanzia molto spielberghiano o memore di serie come “Stranger Things”. Verrebbe voglia di seguire le loro avventure a prescindere da Pennywise e dalla denuncia di una comunità che sopporta il dazio di sangue senza reagire: il che, da un lato, è una conferma della riuscita del film (cui seguirà un secondo capitolo con i protagonisti adulti) in termini di cornice umana; dall’altro finisce per trasformare “It” in un pretesto per raccontare una storia di formazione più vicina a “Stand by me” (sempre King) che al suo romanzo ispiratore.


Durata: 135’. Voto: ***


Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova