La guerra dei cieli e quel saluto su Trieste

19 giugno 1918, sul Montello: rientrando al campo trevigiano di Quinto al termine di una missione, muore Francesco Baracca, probabilmente colpito alla tempia destra da un colpo di fucile sparato da terra durante il sorvolo delle trincee austriache. La notizia viene portata a Padova, dove è alloggiato Gabriele D’Annunzio, da un ufficiale del Comando Supremo, con l’esplicita richiesta da parte del generale Armando Diaz di suggerire le parole adatte per il bollettino di guerra del giorno successivo. Il poeta detta il suo epitaffio: «Da ieri nei cieli del Montello un’azzurra mitragliatrice si tace». L’aviazione militare italiana perde il suo asso numero uno, che vanta 34 vittorie in 63 combattimenti della “guerra dei cieli”: classe 1888, romagnolo di Lugo, Baracca vola su un Nieuport 17 costruito in Italia dalla Macchi. Quando parte per quello che sarà il suo ultimo volo, è ai comandi di un caccia biplano soprannominato affettuosamente dai suoi equipaggi “bebè”, e che sulla carlinga ha dipinto un cavallino nero rampante. Anni dopo, nel 1923, in occasione di una gara automobilistica a Ravenna, Enzo Ferrari all’epoca pilota dell’Alfa Romeo chiederà alla madre di Baracca, contessina Paolina Biancoli, il permesso di adottarlo sulla propria vettura; più tardi ne farà il marchio della scuderia che porterà il suo nome.
Tra i tanti episodi legati al suo nome, memorabile quello del Capodanno 1917, quando da Trieste si alza in volo un asso dell’aviazione austriaca, il barone Gottfried von Banfield. Poco prima di giungere in vista del mare, incrocia il caccia di Baracca e lo affianca. Fuori, la bora sta aumentando d’intensità, entrambi gli aerei sono in difficoltà. A quel punto, i due piloti anziché spararsi alzano la mano destra in segno di saluto, e se ne vanno ciascuno per la propria strada.
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova