La Venezia di Christo «Quella trattativa sul tetto del garage»

I ricordi dell’artista, in città dopo la “lecture” a Ca’ Foscari «Qui le prime opere vendute, le mostre e i progetti sognati» 
Christo e Venezia, un amore lungo oltre cinquant’anni, che non muore. Dagli anni ruggenti di due delle sue prime mostre - quelle alla Galleria del Leone, del 1963 e dell’anno successivo - fino a oggi. Attraverso progetti sognati, come quello di portare nel 1969 in Piazza San Marco la torre alta 93 metri di “5,600 Cubic Meter Package” esposta a Documenta IV a Kassel l’anno prima, per “rivaleggiare” accanto al Campanile di San Marco.


O saltati, come quello di sette anni fa, quando, in accordo con i Musei Civici Veneziani - poi eclissatisi - doveva portare a Venezia due mostre. Al museo Correr quella dedicata ai suoi primi lavori degli anni Sessanta e a Ca’ Pesaro un’esposizione documentaria dedicata al progetto “Surrounded Islands” realizzato nel 1983 a Biscayne Bay, in Florida.


Il grande artista ambientale di origine bulgara - ma naturalizzato statunitense, come l’amatissima moglie Jean-Claude, sua prima collaboratrice, scomparsa nel 2009 - è in questi giorni a Venezia dove ha tenuto una “lecture” sui suoi progetti, invitato dall’Università di Ca’ Foscari. Ha anche incontrato il direttore dei Musei Civici, Gabriella Belli, che ha provato a riannodare i fili di una collaborazione tra l’artista e i musei veneziani, e visitato i luoghi a lui più cari, come Torcello, dove veniva con Jean-Claude a visitare i mosaici paleocristiani della Basilica di Santa Maria Assunta.


Non c’ una passerella di tessuto galleggiante sulla laguna in vista, come quella realizzata lo scorso anno sul lago d’Iseo con un milione e 400 mila visitatori deambulanti, tra i progetti dell’artista.


«Non ho progetti per Venezia in preparazione» spiega l’ottantaduenne artista, una lucidità e una vivacità impressionanti, seduto su una poltrona dell’Hotel Monaco, dove scende immancabilmente fin da quando veniva con Jean Claude «anche se per principio non escludo nulla. Ora tutte le mie energie sono sul progetto della “Mastaba” che realizzerò nel deserto di Abu Dhabi, con l’assemblaggio di 410 mila barili di petrolio. A Venezia mi piace venire per camminare in questa città, ma non dimentico quanto ha significato per me all’inizio del mio percorso artistico».


Correva l’anno 1963, quando Christo e Jean Claude - lei al volante - partirono da Parigi su una malandata Renault stipata dei suoi ormai famosi “package”, le opere impacchettate, accumulati anche sul portabagagli per raggiungere Milano dove le epore sarebbero state esposte alla Galleria Apollinaire. E lì, la conoscenza con Giovanni Camuffo, che aveva appena aperto a Venezia, con Attilio Codognato la Galleria del Leone, vicino al ponte dei Dai a San Marco, la prima a esporre le opere e gli artisti della Pop Art e del Nouveau Realisme, corrente a cui anche Christo apparteneva. Fu subito un colpo di fulmine tra il gallerista e il giovane artista ancora poco conosciuto. «Camuffo mi propose di esporre le mie opere a Venezia, nella sua Galleria, una volta conclusa la mostra di Milano» ricorda Christo «e così al termine dell’esposizione, caricammo tutto sulla Renault e partimmo per Venezia. Dove arrivammo senza più un soldo, nemmeno quelli per la benzina. Parcheggiamo allora sulla terrazza del garage comunale di Piazzale Roma e da lì chiamammo Camuffo e Codognato con un messaggio preciso: “Se volete davvero che esponga le mie opere a Venezia nella vostra Galleria, dovete prima acquistare tutte le opere, per permetterci di tornare a casa”. Camuffo ci raggiunse allora sulla terrazza del Garage comunale e ad alta voce, seduti in auto, cominciò la trattativa. Parlavamo di milioni di lire e l’addetto del garage che era sulla terrazza ci guardava con gli occhi fuori della testa pensando che stessimo trattando la vendita di quella Renault in disarmo».


In quella mostra era esposta tra l’altro la carriola “impacchettata” - “Package on Wheelbarrow”, il titolo dell’opera - che qualche anno più tardi sarebbe stata acquistata dal Museum of Modern Art di New York. E il tavolo del Settecento veneziano con sedia d’epoca. Anch’essi “impacchettati”. L’anno dopo, visto il successo, Christo replicò con una nuova mostra alla Galleria del Leone, dove espose questa volta i suoi “Storefront”, le sue prime vetrine d’esposizione, inserite in cornici architettoniche colorate, in legno, plastica o metallo.


«Ricordo che in occasione della prima mostra a Venezia» dice ancora Christo «organizzammo un party in albergo fino alle due di notte, che fu interrotto dalla polizia, che prese “in ostaggio” in caserma il figlio di Camuffo, Ettore. Fu molto divertente».


Ma l’idea di Venezia rimase nella sua mente, quando nel 1968 espose a Documenta Iv di Kassel la sua installazione “5,600 Cubic Meter Package”, la “torre” di 93 metri fatta di tessuto rinforzato e riempita di aria, legata al terreno da 1818 metri d’acciaio. «Mi sarebbe piaciuto portarla a Venezia» ricorda «per montarla in Piazza San Marco, vicino a Palazzo Ducale, dalla parte del Molo e verso l’acqua, perché la sua altezza era simile a quella del Campanile di San Marco, Feci anche un disegno progettuale dell’intervento a Venezia, che non so più dov’è».


La “torre” d’aria rimase in deposito a Kassel per circa un anno dopo la fine di Documenta, nella speranza, appunto di poterla portare a Venezia. Ma non fu così, come per le mostre mai realizzate in laguna di sette anni fa. Ma tutto ciò non ha cambiato i sentimenti di Christo verso questa città, in cui torna periodicamente, rivedendo i luoghi vissuti con Jean-Claude.


A cominciare, appunto, dalla stanza dell’hotel Monaco - dove li portò Camuffo, arrivati a Venezia - per svegliarsi di fronte alla Basilica della Salute. La città dove lei faceva incetta di scarpe ogni volta che veniva e dove lui ora torna.


«Ma intorno l’acqua è piena di onde», sottolinea. Un’annotazione che fa pensare come l’abbia forse paragonate a quelle placide del lago d’Iseo, dove ha “steso” la sua passerella galleggiante di tessuto. Ma non ci sono progetti di Christo per Venezia all’orizzonte, come lui stesso ripete.


E, fino a prova contraria, bisogna credergli.


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