Lo sguardo moderno di Tintoretto sulla Venezia nuova del ’500

VENEZIA. Secondo Jean-Paul Sartre, Tintoretto è stato il primo pittore cinematografico, per i formati delle sue tele e per quel profondo senso narrativo che scorre da un lato all’altro dei quadri, che svolge da un punto all’altro dei suoi soggetti.
Forse per questo, a conclusione delle celebrazioni del quinto centenario della nascita di Jacopo Robusti, c’è spazio per un altro documentario e un film per le sale sulla vita dell’artista veneziano. Per ora è stato svelato il documentario televisivo, per il film ci vorrà ancora del tempo, forse qualche mese.
“Jacopo Tintoretto and the new Venice” di Erminio Perocco, sin dal titolo inglese non nasconde le sue ambizioni di rivolgersi a una platea internazionale, sancita da un marchio indiscusso nel campo del documentario artistico come il canale tematico franco-tedesco Arte Zdf.
Ma la nascita ideale e produttiva è veneziana, nelle maglie della Kublai Film e della Zetagroup, cui si sono associate la Videe, la Gebrueder Betz e appunto Arte Zdf. Un pedigree che, legato anche alla bontà del film, lo ha già fatto acquistare da diverse televisioni internazionali per la messa in onda.
La produzione ha avuto un budget importante per un documentario, 450 mila euro, compresi 30mila euro vinti attraverso il bando di partecipazione della Regione Veneto. Partendo da un’idea del docente e storico dell’arte Antonio Manno, il regista Erminio Perocco – figlio d’arte, dato che suo padre è stato Guido – ha creato un documentario evitando l’obsoleta docu-fiction.
Regista di corti, oltre che di pubblicità (ha realizzato più di cento marchi da Tim – ricordate “una telefonata allunga la vita”? – a Mulino Bianco, Martini, Mondadori, Crodino, Parmacotto, Nestlè, Treccani, BNL, Vape, Pirelli, Renault, Ford, Lancia), Perocco ha scelto di raccontare la vita di Tintoretto alternando sì interviste di studiosi a limitate ricostruzioni di ambientazioni storiche, ma soprattutto presentando le opere pittoriche come se si trattasse di un film, per cercare di far entrare lo spettatore fin dentro al quadro, in una sorta di viaggio nello spazio e nel tempo.
Come ricorda uno dei curatori della mostra, Robert Echols, se Tintoretto fosse stato un regista contemporaneo, avrebbe potuto essere un cineasta alla Christopher Nolan, il fantasioso autore del “Cavaliere oscuro”, di “Dunkirk”, ma soprattutto di “Inception” e “Interstellar”, dove la soggettività della rappresentazione della realtà ben si addice allo sguardo di un pittore nelle sue tele, che usa ottiche diverse e diversi campi, riuscendo a mettere due scene diverse all’interno della stessa tela, come due fotogrammi.
Ne deriva che il documentario tratteggia la figura di Tintoretto come di un moderno – in una città nuova, la Venezia del ’500 – che rivaluta la figura della donna, emancipandola da vecchi schemi, nei quali egli stesso non volle ricadere, tanto che lasciò la casa e lo stesso atelier alla moglie Faustinae. Rispetto ad altre produzioni recenti sullo stesso tema, la sua vita qui appare meno romanzata, ma più approfondita criticamente. —
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