Nesli: «La musica non ha salvato me ma spero che possa aiutare gli altri»

l’intervista veneziaLo abbiamo visto sul palco del Festival Show a Bibione il 9 agosto. Ma è molto probabile che Nesli decida di tornare a Nordest anche nel futuro più prossimo con nuove date del...
01/05/2015 Roma. Piazza San Giovanni, il concertone del Primo Maggio organizzato dai sindacati, nella foto il rapper Nesli
01/05/2015 Roma. Piazza San Giovanni, il concertone del Primo Maggio organizzato dai sindacati, nella foto il rapper Nesli

l’intervista

venezia

Lo abbiamo visto sul palco del Festival Show a Bibione il 9 agosto. Ma è molto probabile che Nesli decida di tornare a Nordest anche nel futuro più prossimo con nuove date del tour.

Nesli, era da tanto che non faceva un tour nelle piazze. Come sta andando?

«È vero. È un pubblico molto diverso da quello a cui sono abituato. Ho preso questi concerti come un “allenamento” per il tour invernale, che sarà il “pezzo forte”, e mi è servito, infatti è probabile che aggiungerò delle date a settembre. Tra l’altro, io odio profondamente l’estate, quindi se non suono mi deprimo».

Un tour invernale, ma senza disco nuovo.

«Come al solito ho fatto casino! Sarà un tour nei club piccoli, che secondo me sono i migliori, con un’atmosfera più intima. E non escludo di cantare qualche pezzo del disco nuovo».

Quindi è pronto?

«Sì, io ho fatto tutto quello che dovevo fare. Credo che uscirà l’anno prossimo».

Parliamo di “Viva la vita”: un inno, una presa in giro, un’autobiografia?

«Ogni parola dei miei pezzo ha un peso specifico preciso. Il pezzo non è un grido o un inno, ma un controsenso. Nel testo non uso parole leggere, come fanno molti cantanti indie di adesso, ma spigolose, a volte molto criptiche. Ogni frase è legata alla mia vita, ma poi ognuno può farne quello che vuole: estrapolare le parole e dare loro un proprio senso».

«Ogni frase è legata alla mia vita» è come dire «Uso la musica come terapia»?

«Sì, ma mi fa male. Perché se scrivi le canzoni vuol dire che hai problemi. Non è una cosa che ho scelto: è un’indole, un talento. Chiunque può scrivere un pezzo: la cosa difficile è farne un lavoro. È terapeutico perché se non avessi le canzoni sarei fregato: la musica mi tiene in equilibrio».

Motta dice che per lui scrivere è una sofferenza...

«Sono tutte cazzate romantiche. Motta è bravissimo, ma ha fatto solo due album: voglio vedere se tra sei anni dirà la stessa cosa. Per me è fondamentale che la mia musica sia terapeutica per gli altri: è questa la verità assoluta. Quando me ne rendo conto è una figata, perché mi dico che allora, nonostante tutto, scrivere canzoni serve ancora a qualcosa. Fare musica è la mia vita, ma ormai sono dentro al meccanismo, quindi a volte devo ricordarmi che è emozionante. È impossibile continuare a stare in un’ottica romantica: o sei rincoglionito o sei strafatto o sei un esordiente. Per questo deve essere terapeutico per gli altri e non per te: altrimenti diventa un dolcificante e non va bene. Non mi sono mai piaciuti quelli che dicono “La musica mi ha salvato”. Col cavolo. La musica non mi ha salvato, la musica è stata un dramma. Spero che possa salvare qualcun altro o, almeno, aiutarlo».

È sempre stato così cinico?

«Quando scrivo sono molto ispirato, ma nella vita sono sempre stato tremendamente cinico. Il disco che più ha fotografato il momento di puro romanticismo, anche un po’ puerile, è “L’amore è qui”. Era il mio primo step da indipendente, facevo fare il manager al mio migliore amico. Insomma, il contesto era diverso. Col tempo ho perso le illusioni, ma è giusto così, perché ora con le canzoni cerco di dare qualcosa di più rispetto a prima. Non che ora riesca a inventarmi qualcosa di nuovo, non è questo il punto, ma cerco di fare molto bene quello che ho la possibilità di fare». —



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