Piero Angela: «Il pensiero magico ci fa amare le cose strane, la scienza ci porta vicini alla verità»

PADOVA.
Piero Angela, perché è importante fare divulgazione scientifica?
«Perché fa capire che la scienza è un sapere importante per noi e per la nostra sopravvivenza, ed è fondamentale sostenerne le ricerche».
Serietà nel lavoro, semplicità nel comunicare concetti complessi, schiettezza nel modo di parlarne: è questo il segreto del suo successo?
«Ho sempre cercato di mettermi dalla parte degli scienziati per i contenuti e del pubblico per il linguaggio. Ognuno è diverso ma se si usa una lingua accessibile a tutti i concetti passano più facilmente».
Che consigli può dare a un giovane che voglia fare divulgazione scientifica?
«È un lavoro che richiede diverse qualità. Bisogna capire di scienza a tutto tondo, soprattutto se non ci si specializza. Avere idea di ciò che accade, anche in ambito tecnologico ed economico. Leggere, informarsi, avere buone fonti. Anche essere creativi: è importante come si dicono le cose. E non accontentarsi mai».
Metodo scientifico. Applicato da alcuni ma non spiegato nelle scuole, è ciò che permette di passare dalla soggettività all’oggettività. Perché se ne parla così poco?
«Questa è una cosa che mi ha sempre sorpreso. Capire la scienza significa innanzitutto capirne il metodo. Ma non viene insegnato nelle scuole né nelle facoltà scientifiche. Nella scienza non si possono avere opinioni: bisogna sempre dimostrare ciò che si dice. Questo è il metodo di Galileo, lo stesso che ha consentito alla scienza di costruire un edificio di mattoni e non di carta».
Nel suo ultimo libro dice che “tutto ciò che è emotivo interessa e ha la precedenza su ciò che non lo è”. Secondo lei una “scienza con la pancia”, che strizzi l’occhio alle emozioni, può essere vincente per una comunicazione scientifica efficace?
«Noi siamo sensibili alle emozioni per un antico meccanismo attivato dall’amigdala, una struttura del nostro cervello che assegna alle nostre esperienze etichette che ci aiutano a fissare memorie nell’ippocampo. Con questo meccanismo prestiamo attenzione a ciò che ci fa piacere e fuggiamo da ciò che ci danneggia. Anche quando si fa comunicazione scientifica bisogna svegliare l’attenzione. Per riuscirci serve aggiungere emozione all’informazione».
Sta per iniziare il Cicap Fest 2018 e si discuterà di scienza, verità e bugie. Parlando di “verità della scienza” sappiamo che una teoria scientifica è vera fin tanto che non se ne dimostri una più generale e meglio fondata. Cos’è che fa sì che le persone accettino di fidarsi della scienza nonostante porti in sé una buona dose di relativismo?
«La scienza evolve e incorpora via via nuove scoperte, diverse interpretazioni di fenomeni che si erano capiti solo in parte. Malgrado ciò, rappresenta comunque la migliore approssimazione alla verità».
Scie chimiche, paranormale, no vax, ufo: perché la pseudoscienza piace più della scienza?
«Noi siamo sempre stati e sempre saremo attratti da cose nuove e strane. È quello che chiamo pensiero magico: ci piace pensare che esistano energie oscure, complotti. L’antiscienza è molto diffusa perché si dice che la scienza è arida e non capisce che, al di là dell’apparenza, esistono altre cose non ancora scoperte».
Come possiamo difenderci dalle bufale?
«Con logica, intelligenza, buon senso. È importante verificare le fonti: le persone, le loro qualifiche, le istituzioni a cui appartengono. Cose dette dal primo che passa non hanno valore».
Donne e scienza. La disparità di genere esiste.
«La condizione della donna 100 anni fa era drammatica. Oggi c’è la scuola di massa, le ragazze all’università sono di più e più brave dei ragazzi, si laureano prima e con voti migliori. Il sorpasso avverrà».
Si sarebbe aspettato di vivere la vita che ha vissuto, così ricca di incontri, esperienze, sfide e soddisfazioni?
«Quando ho iniziato non avevo idea di cosa sarebbe successo. E non avrei mai pensato di arrivare alla mia età. Non credevo che avrei visto il 2000 e invece siamo nel 2018 e sto per compiere 90 anni. Mi ritengo molto fortunato per aver potuto fare sempre, o quasi, quel che volevo, e in salute». —
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