Quando Orfeo suonava la cetra del simbolismo

L’arte esoterica di fine secolo a Parigi in scena fino a gennaio al Guggenheim di Venezia
Huile sur toile 194 x 156 cm - inv. L79.2 - Collection du Musée des Beaux-Arts de Marseille
Huile sur toile 194 x 156 cm - inv. L79.2 - Collection du Musée des Beaux-Arts de Marseille
Apre una finestra affascinante e finora ancora poco esplorata sulla nascita dell’arte moderna anche in rapporto ai movimenti esoterici e spiritualisti di fine Ottocento che percorrevano l’Europa, la raffinata mostra inaugurata ieri a Venezia alla Collezione Guggenheim (fino al 7 gennaio). “Simbolismo mistico. Il Salon de la Rose Croix a Parigi 1892-97” - questo il titolo dell’esposizione curata da Vivien Greene e che arriva a Venezia dopo la prima “tappa” nella casa-madre newyorkese del Solomon Guggenheim Museum - è la prima mostra dedicata appunto a quella corrente simbolista intrisa di esoterismo e spiritualismo, nata in Francia alla fine dell’Ottocento e legata appunto nell’ispirazione alla confraternita segreta dei Rosa-Croce (ne riferiamo a parte) e legata ai Salon curati da Joséphin Péladan. Gran sacerdote della diffusione del movimento rosacrociano in Francia, scrittore e critico, Péladan chiamò appunto a raccolta dal 1892 al ’97 nelle sue “adunate espositive” artisti di tutta Europa, come iniziati di una nuova visione dell’arte con la missione di portare un’idea del divino nella sfera mondana e raggiungere l’illuminazione, reagendo alla decadenza della società.


Si guarda ai Primitivi del primo Rinascimento italiano, ma anche ai Preraffaeliti britannici in questa nuova idea di un simbolismo pittorico, appunto mistico e allegorico, con immagini di stilizzate “femme fragile” e “fatale”- con una punta evidente di misoginia verso il protofemminismo nascente, come nelle opere di Fernard Khnopff, Jean Aman e Alphonse Osbert - ma anche di chimere e di figure mitologiche di riferimento, come Orfeo, anche nel suo ruolo di connessione tra il terreno e l’ultraterreno.


La prima edizione del Salon de la Rose Croix richiama l’attenzione di grandi artisti che in qualche modo si avvicinano a questa concezione, come Gustave Moreau e Puvis de Chavanne, ma anche di scrittori naturalisti come Emile Zola o poeti “maledetti” come Paul Verlaine, immersi tra le musiche di Wagner e quelle di Satie, che risuonano anche nell’esposizione veneziana. E la mostra veneziana - attraverso una quarantina di opere - mostra alcuni dei protagonisti di queste edizioni dei Salon de la Rose Croix. Alcuni di assoluto livello, come uno degli allievi prediletti di Moreau, Pierre Amedée Marcel Bèronneau che dipinge il grande “Orfeo” lugubre e decadente, che suona rapito per Plutone e la sua cetra nell’Ade, per strappargli così la sua Euridice, tra grovigli di corpi e mostri attoniti, nell’opera-simbolo di questa esposizione. Ma c’è spazio anche - accanto allo stesso dipinto - per un superbo “Compianto sul Cristo morto” di Georges Roualt, sulle stesse tonalità funeree. O per il linearismo estenuato e ermetico di un grande pittore olandese come Jan Toorop. Ma, al di là delle singole personalità artistiche, necessariamente diseguali - e a volte anche lontane dall’idea ispiratrice di Peladàn, come nel caso del grande incisore franco-svizzero Felix Valloton, presente non a caso solo alla prima edizione dei Salon e a cui è dedicata una sala - quello che colpisce è l’aspirazione alla trascendenza di questi artisti.


Un’idea di spiritualità esoterica che non a caso influenzerà all’inizio del Novecento protagonisti dell’astrazione pittorica come Kandinsky, Kupka e Mondrian tra gli altri. E Kandinsky in particolare più che ai Rosa-Croce di Péladan, guarderà al movimento teosofico di Rudolf Steiner e madame Helena Petrovna Blavatsky, occultista russa venuta in contatto con la tradizione filosofica e misterica orientale. E se possono far sorridere i grandi ritratti esoterici che compaiono in mostra a Venezia dedicati al “vate” Joséphin Peladan da artisti come Jean Delville, Marcellin Desbouttin o Alexandre Séon, che lo dipingono come il gran sacerdote rosacrociano che sentiva di essere, sono molte le sorprese e le suggestioni che riserva questa mostra. Come nel caso dei due dipinti di Charles Maurin, “L’alba del lavoro” e “L’alba del sogno”, misteriose allegorie, influenzate dalla grafica giapponese, in cui corpi nudi si incrociano sullo sfondo di fumanti ciminiere, evocando l’“Inferno” della modernità.


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