Zijo, il massacro di Skocic e il ragazzo che non sa odiare

di Serena Gasparoni
A gennaio di quest’anno Zijo ha sepolto quattro delle sue sorelle uccise nel 1992. Le altre due e il fratellino minore sono stati ritrovati nella stessa fossa comune, ma i loro resti erano troppo parziali, quindi ha deciso di aspettare. Zijo Ribic ha 31 anni e ha deciso di non odiare chi ha massacrato la sua famiglia, «perché» dice, «è l’unico modo per avere una vita normale».
La storia di Zijo si inserisce nella complessità della guerra in ex Jugoslavia. Aveva 8 anni quando il 12 luglio del 1992 una formazione paramilitare di cetnici oltraggiò e uccise gli abitanti di Skocic, un piccolo borgo nella zona di Zvornik nella Bosnia orientale, abitato da rom musulmani, prevalentemente appartenenti al clan di Zijo. Vennero massacrati tutti, compresa la sua famiglia: il padre, la madre incinta di nove mesi, un fratello piccolo e sei sorelle. Parliamo di violenze inimmaginabili. Zijo è l’unico sopravvissuto: dopo averlo ferito con un coltello i militari lo credevano morto. Lui riuscì a mettersi in salvo correndo sopra una montagna di cadaveri gettati con lui in una fossa comune. Questa storia ieri Zijo l’ha racconatata negli spazi Bomben di Fondazione Benetton Studi Ricerche di Treviso, di fronte a un pubblico attonito, incapace di comprendere il perché di una cattiveria e una brutalità disumane, consumata così vicino a noi e da molti poco conosciuta.
La sua storia è diventata un reportage fotografico: trenta immagini in bianco e nero, crude e immediate, scattate tra il 2013 e il 2016, che vogliono raccontare i luoghi che sono stati teatro di questa vicenda ma anche i volti di coloro che oggi tentano di riportali alla vita. Gli scatti sono di Andrea Rizza Goldstein e compongono la mostra inaugurata ieri - e visitabile fino al primo maggio- negli spazi Bomben a Treviso, dal titolo «Io non odio/Ja ne mrzim. La storia di Zijo» alla cui presentazione ha partecipato anche la sociologa Natasa Kandic (di Humanitarian Law Center di Belgrado). L’esposizione è dedicata a Ismet, Sevka, Zlatija, Zijada, Suvada, Almasa, Ismeta, Zlata e Sabrija, i genitori, le sorelle e il fratello di Zijo.
Un duro racconto fotografico risultato di un’amicizia fraterna instaurata nel 2011 tra Zijo e Andrea nell’ambito della Settimana internazionale della Memoria organizzata in Bosnia-Erzegovina dalla Fondazione Langer. La mostra è stata organizzata per la campagna culturale del Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino 2014 conferito ai villaggi di Osmace e Brezani, Srebrenica, Bosnia-Erzegovina. «Qual è l’immagine che preferisci?» «Quella con la mia fidanzata», dice Zijo indicando la foto che lo ritrae con Ramiza seduto sul tetto dell’hotel a Tuzla dove oggi lavora come cuoco. Poco più in là l’immagine della casa, oramai coperta dalle ortiche, in cui Zijo e la sua famiglia vennero prelevati la notte del massacro. E quella, un pugno allo stomaco, in cui Zijo è ritratto in piedi davanti alle quattro bare delle sue sorelle, poco prima della sepoltura, lo scorso gennaio. Nel 2011 Zijo dopo aver incontrato l’avvocatessa Natasha Kandic, si era deciso a ottenere giustizia. La Kandic era riuscita a scovare i cetnici massacratori, con nomi e cognomi. «Mi aspettavo delle facce da criminali, vederli mi ha sconvolta: i loro volti erano quelli di persone normali». Dopo una prima condanna davanti al tribunale per i crimini di guerra di Belgrado sono stati assolti in appello. Zijo è determinato però a proseguire la sua battaglia legale. Ma l’odio, quello non c’è più. «Quando li ho visti, per un momento ho pensato avrei potuto far loro qualsiasi cosa. Ma a cosa sarebbe servito? Niente mi ridarà la mia famiglia, l’unico modo per essere ancora un uomo è perdonare».
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