Tra favoriti e outsider: il peso del voto degli indecisi nella scelta del nuovo Papa
Ai nomi già noti, entrati nella Cappella Sistina già sotto i riflettori, si affiancano figure emergenti. Determinante l’affiatamento con chi sarà Segretario di Stato

Fase decisiva per i 133 cardinali elettori entrati nella Sistina e, pur alloggiati a Santa Marta, in assoluto isolamento sino a quando uno di loro avrà raggiunto il quorum necessario - 89 voti - comunicato al mondo attraverso l’attesa fumata bianca. Scontata quella nera di ieri sera, dopo la prima votazione per così dire di cortesia, fatto di “voti in deposito” oltre a dare l’idea dell’entità dei “voti di partenza” per alcuni porporati, da sottoporre oggi a verifica non tanto di tenuta, ma di crescita negli scrutini previsti: due al mattino, due al pomeriggio. Sensazione diffusa è che i porporati siano entrati in un conclave aperto, senza aver raggiunto convergenze solide, se non su pochissime figure.
Tra di loro anche parecchi indecisi, alle prese con l’identikit uscito dalle Congregazioni generali - un pastore “ponte e guida” nella linea di Francesco - ma pure dalle omelie dei novendiali, della missa pro eligendo pontifice, o che avranno desunto dall’ultima meditazione a porte chiuse del cardinale cappuccino Raniero Cantalamessa, predicatore emerito della Casa Pontificia.
Un profilo ideale che parrebbe destinato a esprimere scelte più coraggiose di quelle tese specialmente a rassicurare apparentemente emerse nelle giornate dopo la morte del papa. Che hanno visto i porporati – 108 dei quali “creati” da Francesco, ma non per questo privi di sensibilità differenti - misurarsi su tanti dossier aperti. Se è vero che la continuità prevalga come auspicio suffragato dal dato numerico, ciò però non significa siano emerse forti indicazioni per trovare repliche immediate dell’originale.
Ma come arriverà in modo naturale - sovrannaturale il nuovo successore di Pietro e di Francesco? Quanto conterà in un’elezione di per sé già così particolare (dove in teoria corrono tutti, nessuno si autocandida, si può rifiutare, vige il divieto di patti per garantire voti), tutto quel concorso di fattori riversatosi su nomi precisi, costruito su manifestazioni di intenti e potere, rapporti personali, omelie simili a profili, fake news, siluri lanciati via stampa, o, anche questa volta esito del lavoro di “reclutatori” e “collettori”, senza dimenticare quello dello Spirito?
I favoriti a motivo di consenso percepito e cordate più o meno palesi, restano in parte quelli ripetuti già prima dei funerali di Francesco. Ma non tutto si riduce a confronti tra progressisti e conservatori, contano carisma ed esperienza. E, sebbene alla cattolicità siano estranei i criteri geografici, sino a ieri, almeno, si è guardato con attenzione all’Europa, sempre più scristianizzata, pensando al futuro dell’Asia (leggasi soprattutto Cina). Con l’Italia configurabile come punto di equilibrio, ma prendendo atto che il baricentro non è più quello da tempo.
Tanti i nomi, sempre in testa Parolin: punto di riferimento del “partito” dei nunzi, di parte della Curia, ma anche di porporati sparsi nel mondo. Con lui tornerebbe un italiano dopo 47 anni e un papa ex Segretario di Stato (l’ultimo era stato Pacelli), smentendo il motto «chi entra in conclave papa, ne esce cardinale». Se la fumata bianca arrivasse tra stasera e domattina, potrebbe essere lui il nuovo pontefice.
A seguire il filippino Tagle. pastore e teologo, voce di una Chiesa asiatica (con elettori più uniti) che conosce l’islam, dirimpettaia di Cina e India, figura interessante al pari del suo connazionale Pablo Virgilio David, o, spostandoci in Africa, al pari del cardinale Turkson per il suo ruolo anche come africano. Molti voti andranno certamente a Zuppi: c’è chi dice che non ha ancora dato il meglio e il ruolo in genere aiuta chi ha filo da tessere. Così come parecchi voti andranno al patriarca Pizzaballa, gradito a una platea trasversale, cui si riconoscono doti di grande equilibrio mai come in questo momento necessario a Gerusalemme (circola la battuta «dopo Francesco arrivano i francescani», che però annoverano pure altri cardinali, tra i quali il brasiliano Steiner).
Restando tra le famiglie religiose, papabile dell’ultima ora si è palesato Angel Fernandez Artime, ex rettor maggiore dei salesiani. Altri nomi ricorrenti ancora ieri mattina quello dell’ungherese Péter Erdő, gradito ai conservatori, del maltese Mario Grech, già segretario generale del Sinodo e sostenuto dal “partito sinodale”.
Rimanendo in Europa sino all’ultimo sono rimbalzati i nomi di Jean-Marc Noël Aveline e Anders Arborelius. Guardando nelle Americhe, cardinali divisi a parte e situazione particolare dopo l’arrivo di Trump, ha fatto parlare molto il meno americano degli americani: l’agostiniano Robert Francis Prevost, mentre un nome “coperto” potrebbe essere quello di Joseph Tobin di Newark.
Outsider, in caso di blocchi, anche figure di rilievo come il congolese Fridolin Ambongo Besungu e l’indiano Neri Ferrao. E per quanto concerne i latinos bergogliani (non pochi) fonti attendibili hanno rivelato che l’ ultrattontenne canadese Marc Armand Ouellet nei giorni scorsi si è speso invitandoli a guardare all’Italia. Se lo avranno fatto già oggi potranno essere decisivi per una soluzione immediata. Come potrebbe esserlo una soluzione già gravida di un nuovo Segretario di Stato. E si riavrebbe subito il papa senza dover immaginare "pontieri" alla ricerca di nomi di compromesso. Il papa del post Bergoglio. Per scoprirne poi magari tratti inediti. In fin dei conti, dal conclave più “miope” del ’900 - quello che nel ’58 cercava un papa di transizione - uscì con altro vello quel patriarca di Venezia, che poche ore dopo l’elezione già pensava al “suo” Concilio, la grande svolta nella storia della Chiesa contemporanea.
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