Disagio giovanile, se la colpa è di una generazione che ha fallito

Perché li teniamo distanti e ci fanno così paura? Forse perché attraverso lo specchio che sono i nostri figli riusciamo a vedere meglio ciò che siamo diventati: esseri in fuga perenne anche da noi stessi

Marco Franzoso
Carabinieri all'istituto di Montagnana in cui si è tolta la vita una studentessa di 16 anni (foto Zangirolami)
Carabinieri all'istituto di Montagnana in cui si è tolta la vita una studentessa di 16 anni (foto Zangirolami)

Il punto non è se i ragazzi ci mandano dei segnali ma perché, da adulti, non li cogliamo? Non voglio né posso giudicare quanto accaduto a Montagnana. Ignoro la genesi del gesto estremo, né so che rapporti ci fossero in famiglia. Ragionando più in generale, mi sembra che la mia generazione abbia completamente fallito. Nei modelli educativi, e ancora di più nello schivare il dialogo con gli adolescenti, quasi li temessimo.

Il problema è il disagio giovanile, ma ci mettiamo davvero in discussione come genitori? Quante volte in casa proviamo un dialogo con loro, quante volte li stiamo ad ascoltare interessati al loro punto di vista? Dopo essersi sentiti dei fantasmi per vent’anni, è prevedibile che rispondano a loro modo.

Il punto è la nostra incapacità generazionale di lanciare ponti verso la loro fame – incredibile – di un confronto libero, non giudicante. «Com’è andata a scuola?», «Dove vai la sera, con chi?»: sono domande aride di empatia, raramente spontanee. Sembra che sappiamo solo giudicarli, e perché? Cosa si è rotto in noi genitori nei confronti dei nostri figli?

La famiglia, e poi la scuola, sentivamo davvero il bisogno del voto in condotta? Non è anche questo un modo per tenerli in realtà lontani? Loro sono il modello che hanno ricevuto, iniziamo a lavorare su questo. Rimettiamoci in gioco noi adulti e prima di tutto noi genitori, senza scaricare le colpe sui ragazzi e sulla loro incomunicabilità. Con chi dovrebbero comunicare? È quello che ci chiedono e che desiderano come l’aria, logico che se per noi sono diventati dei fantasmi incomprensibili, per loro sia più facile lasciarsi ingerire da uno schermo. Li accusiamo di essersi chiusi nei social, ma questa è la conseguenza dell’essersi sentiti invisibili nella vita reale, e in primis in quella familiare.

La verità è che i primi a immettere i giovani nel meccanismo virtuale siamo spesso noi genitori. Li releghiamo lì, per tenerli impegnati, cioè lontani.

Tutti noi, al ristorante, abbiamo visto un tablet nelle mani di un bambino piccolo, o famiglie al completo, in silenzio: qual è il messaggio che arriva loro se non che in fondo più di tanto non ci interessano?

Se vogliamo parlare del disagio giovanile, interpelliamo loro, certo, ma il primo passo sia nostro: curioso e interessato. Allora vedremo che, se riusciamo a creare empatia, scopriamo che in gran parte dei casi non siamo di fronte a un problema psichiatrico o psicologico, ma qualcosa che nella sua essenza riguarda le relazioni umane.

Anche perché poi, se ti tratto come una persona e non come un adolescente problematico, tu acquisisci fiducia in te stesso. Io ti posso dare molto per l’esperienza di vita che ho alle spalle, ma da te posso ricevere altrettanto. I ragazzi non sono il problema, loro sono spugne, sono tutto ciò che noi adulti proponiamo. La scuola è fondamentale, ma la cellula primaria è la famiglia, il luogo in cui trovare valori e disvalori, desideri e paure.

Perché li teniamo distanti e ci fanno così paura? Forse perché attraverso lo specchio che sono i nostri figli riusciamo a vedere meglio ciò che siamo diventati: esseri in fuga perenne anche da noi stessi.

Facciamoci aiutare dai ragazzi, rompiamo i muri che abbiamo eretto, scopriamo quanto siano in grado di darci. È sugli adulti che dobbiamo lavorare - i ragazzi possono essere straordinari - per aiutare una generazione che sembra avere smesso di credere e sperare. Ho molta fiducia nei ragazzi, sono convinto che solo grazie a loro la mia generazione potrà uscire dal tunnel nel quale si è infilata.

(testo raccolto da Costanza Francesconi)

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova