Medio Oriente, l’economista Magnani: «Si rischia un’escalation incontrollabile e un forte ripiegamento dell’economia»

«L’attacco a Israele partito da territorio iraniano, con il lancio di centinaia di droni e decine di missili, e la risposta di Tel Aviv dopo qualche giorno rischiano di innescare un’escalation incontrollabile in questo conflitto. Un ulteriore segnale dello scollamento del mondo». Ne è convinto Marco Magnani, economista alla Luiss di Roma e all’università Cattolica a Milano, che ha appena pubblicato il volume “Il Grande Scollamento. Timori e speranze dopo gli eccessi della globalizzazione” (Bocconi University Press). Un’analisi storica, economica e geopolitica dei processi di internazionalizzazione.
La globalizzazione ha esaurito la spinta propulsiva?
«Sta certamente rallentando. È importante ricordare che la globalizzazione ha prodotto enormi benefici. Le 3P: prosperità, sradicando dalla povertà miliardi di persone, progresso, in ambito medico e scientifico, e pace, o comunque relativa stabilità dapprima con la guerra fredda e poi grazie alla pax americana. Ci eravamo illusi che la globalizzazione fosse inarrestabile e irreversibile. Ma ne avevamo sottovalutato alcuni eccessi, limiti e distorsioni».
Questo modello ora sembra essere entrato in crisi.
«Non è la prima volta che accade: il crollo dell’Impero romano portò alla formazione di tante entità politiche e a secoli di declino e conflitti. Lo stesso accadde dopo la dissoluzione dell’Impero mongolo. Il periodo di chiusura e protezionismo che seguì alla globalizzazione della Belle Époque aprì la strada alla Grande depressione del 1929 e a due guerre mondiali. La speranza è che il rallentamento attuale non porti allo stesso livello di caos».
E cosa sta accadendo?
«Il mondo è più diviso e i diversi blocchi sono come placche tettoniche che a volte si allontanano, a volte si avvicinano e talvolta si scontrano. Ci sono sempre più paesi “battitori liberi” che aspirano ad una propria autonomia strategica e pertanto stringono alleanze trasversali, opportunistiche e volatili. Si pensi a India, Brasile, Turchia, monarchie di Golfo. L’India è uno dei casi più esemplificativi, è alleata con gli Usa e formalmente ancora in guerra con la Cina. Però fa anche parte dei Brics, con la stessa Cina e in parziale contrapposizione agli Stati Uniti. Ci troviamo in una situazione che presenta rischi e incognite. Questa frammentazione si traduce altresì in un depotenziamento e in una crisi delle organizzazioni internazionali come Onu, Oms o Wto. Lo vediamo anche con la guerra in Ucraina e a Gaza, dove il loro ruolo risulta marginale».
Cosa ha innescato questa crisi della globalizzazione?
«Alcuni dei motori che l’avevano spinta, come stabilità internazionale e trasporti sicuri e a basso costo, sembrano essersi inceppati. Lo scollamento sta mutando le relazioni internazionali. Il commercio è ostacolato dal ritorno al protezionismo. Il movimento di capitali e sempre più vincolato. Così come quello delle persone. Shock esterni (pandemia, guerre, terrorismo) favoriscono reshoring e friend-shoring».
Quali sono le principali conseguenze?
«Vedo tre grandi tendenze. Primo: una forte regionalizzazione, con maggiore importanza di accordi e alleanze locali. Secondo: la preminenza della politica (sicurezza nazionale e geopolitica) sull’economia. Terzo: la crescente volatilità delle alleanze e maggiore complessità dello scenario internazionale. Il rischio è che l’eccessiva frammentazione favorisca disordine e instabilità, riducendo al minimo le relazioni tra blocchi di Paesi. Con enormi costi economici in termini di minor efficienza, innovazione e crescita».
Su quali temi potrebbe invece ripartire il dialogo tra i blocchi portando a una “ri-globalizzazione”?
«Artico, subacqueo, spazio e digitale possono essere fronti di scontro o, con le loro enormi opportunità, rappresentare le nuove frontiere della globalizzazione e della cooperazione internazionale. La speranza è alimentata dal fatto che in passato, dopo periodi bui ‒ come la chiusura del Medioevo, le distruzioni della seconda guerra mondiale, le divisioni della guerra fredda ‒ il mondo ha saputo ritrovare la luce. E lo ha sempre fatto seguendo una strada di apertura e libertà di circolazione di merci, capitali, persone, idee e costruendo istituzioni volte ad aumentare il dialogo e la collaborazione internazionale».
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