Sentenza processo Pfas: 11 manager condannati, pene fino a 17 anni e mezzo
Pugno duro della Corte d’Assise di Vicenza nei confronti degli imputati riconosciuti colpevoli del maxi-inquinamento da Pfas delle acque superficiali, di falda e degli acquedotti in Veneto. I giudici hanno inflitto complessivamente 141 anni di carcere

Una sentenza storica, con 11 condanne ai manager Miteni e 4 assoluzioni. Un verdetto pesantissimo, a 141 anni di carcere complessivi, con un maxi-risarcimento che arriva a quasi un centinaio di milioni di euro. E sarà un acconto, un attesa della sentenza civile.
Dopo 134 udienze, cala il sipario sul maxi inquinamento della Miteni, la multinazionale sorta negli anni Sessanta a Trissino per la produzione di Pfas, un colosso chimico che ha sfornato 5 mila molecole perfluoroalchiliche, diventate pellicole sulle padella antiaderenti, sui vetri infrangibili degli aerei e dei telefononi sulle schiume antiincendio dei vigili dei fuoco e negli autolavagaggi. Un brand che la Rimar del gruppo Marzotto ha poi ceduto all’Eni e alla Mitsubishi e ora alla Icig, con i 15 manager finiti sul banco degli imputati. Tutto fila liscio fino al 2013,quando un
report del Cnr lancia l’allarme sulla concentrazione dei Pfas sul Po e così l’Arpav avvia le analisi anche a Trissino, l’unica azienda italiana che li produce. Ci vuole poco per scavare sotto la Miteni e scoprire sull’alveo del torrente Poscola una montagna di scorie tossiche nascoste dentro ai bidoni. Le analisi sono da incubo: una falda freatica, grande come il lago di Garda, è stata avvelenata e per 300 mila persone scatta l’allarme sanitario. Nel sangue c’è il veleno dei pfas. E dopo 12 anni si arriva alla sentenza della corte d’assise di Vicenza. La prima in Italia per un reato di inquinamento e avvelenamento ambientale così grave.
La lettura della sentenza
La presidente Antonella Crea, alle 16.10 entra in aula e per 25 minuti legge il dispositivo della sentenza e quando pronuncia la parola “condanna” tra il pubblico scoppia un pianto, a singhiozzo. Sono le mamme No Pfas che si fanno travolgere dalla emozione, le 11 condanne pesantissime variano dai 16 ai 17 anni, e si scende a 6 anni e 4 mesi per i manager italiani, come Antonio Nardone.
Quattro le assoluzioni per non aver commesso il fatto: si tratta di Mauro Cognolato, Mario Mistrorigo, Mario Fabris e Kenji Ito. Ci sono anche i risarcimenti civili: la somma più rilevante va al ministero dell’Ambiente, con un indennizzo di 56 milioni, altri 6,5 milioni alla Regione Veneto che ha avviato la campagna di screening sanitario.mAltri 80 mila euro a ciascuno dei Comuni della zona rossa che si sono costituiti parte civile nel processo e per le parti civili il risarcimento è stato calcolato in 15-16 mila fino a 18 mila euro a testa.
Un grande applauso ha salutato l’uscita dall’aula della corte d’Assise, la gioia delle mamme no Pfas è esplosa tra pianti e abbracci.
Il commento di Zaia
«La sentenza di oggi della Corte d’Assise di Vicenza, che riconosce il reato di disastro ambientale doloso e avvelenamento delle acque e prescrive condanne tra gli 11 e i 17 anni ai vertici della Miteni, è un passaggio fondamentale di giustizia per le comunità venete colpite e per tutti coloro che hanno lavorato con impegno alla ricerca della verità. Fu proprio la Regione del Veneto, su mio mandato, nel 2013, a segnalare per prima alla magistratura – tramite ARPAV, Direzione Sanità e Direzione Prevenzione – gli effetti gravissimi e irreversibili dell’inquinamento da PFAS, scoperto nell’ambito di una ricerca sperimentale del CNR e del Ministero dell’Ambiente su inquinanti emergenti nei principali bacini fluviali italiani. In Veneto, gli inquinanti furono individuati nei corpi idrici della Valle del Chiampo, in corrispondenza dello stabilimento chimico Miteni di Trissino, poi rivelatosi la fonte primaria della contaminazione che ha interessato oltre 190 km² tra le province di Vicenza, Verona e Padova. In un quadro normativo allora assente, la Regione ha agito con determinazione, imponendo ai gestori idrici la filtrazione delle acque, stanziando fondi per la messa in sicurezza e attivando, nel 2016, un Piano di Sorveglianza Sanitaria aggiornato nel 2018, che ha coinvolto 127.000 cittadini dell’Area Rossa. Abbiamo investito risorse regionali, richiesto e ottenuto lo stato di emergenza nel 2018, e sostenuto in sede giudiziaria una tra le più ampie documentazioni tecnico-scientifiche mai prodotte in un processo ambientale in Italia. Alla Regione Veneto, costituitasi parte civile, la sentenza riconosce oggi un danno superiore ai 6,5 milioni di euro, che i condannati, insieme ai responsabili civili Mitsubishi Corporation e ICIG, saranno tenuti a risarcire. È il riconoscimento del ruolo istituzionale svolto con dedizione, scientificità e trasparenza: un ruolo che ci ha visti in prima linea non solo nel denunciare, ma anche nel rimediare, con l’installazione di barriere idrauliche, filtri a carbone attivo e la predisposizione del progetto di bonifica del sito Miteni. Ringrazio tutti coloro che in questi anni hanno lavorato con rigore, passione e senso civico: tecnici, legali, amministratori. Questa sentenza rafforza il nostro impegno e ribadisce un principio essenziale: chi inquina paga. Il Veneto continuerà a battersi per l’ambiente e la salute, con la stessa determinazione dimostrata sin dall’inizio». Così il presidente della Regione del Veneto, Luca Zaia, commenta l’esito del processo sul disastro ambientale da PFAS.
L'assessore veneto all'Ambiente Gianpaolo Bottacin: «Oggi si chiude finalmente una vicenda lunga, complessa e dolorosa, che ha segnato profondamente il nostro territorio e il dibattito pubblico negli ultimi anni. Desidero ricordare che la prima denuncia sull’inquinamento da PFAS fu presentata dalla Regione Veneto, attraverso ARPAV, in un momento in cui ancora non esisteva alcun limite normativo per queste sostanze. In questi anni è sempre garantito la massima collaborazione agli inquirenti, a iniziare dai Carabinieri del NOE che ha operato col supporto di ARPAV e alla procura, avendo massima fiducia nella magistratura che ha operato con estrema terzietà ed obiettività. E che anche per questo ringrazio».
«In assenza di un intervento statale, ci siamo assunti, pur non avendone la competenza - prosegue l'assessore -, l’onere di fissare limiti precisi sia per le acque potabili che per gli scarichi industriali, assumendoci responsabilità e rischi, ed esponendoci a numerosi ricorsi legali».
«Sono stati per me anni difficili, segnati da accuse gravi e infondate, che hanno spesso rovesciato la realtà, dando quasi l’idea che fossi io il responsabile dell’inquinamento. Oggi, con la conclusione di questo processo, si ristabilisce almeno in parte la verità dei fatti».
«Ma non possiamo fermarci qui - conclude Bottacin-. Questa sentenza rende ancora più urgente l’adozione di limiti nazionali chiari, uniformi ed efficaci per la presenza di PFAS nelle acque e negli scarichi. Su questo, come Regione, abbiamo già dato la nostra disponibilità al Governo per collaborare pienamente. La tutela dell’ambiente e della salute pubblica resta per noi una priorità assoluta».
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