Alberto Trentini da sei mesi in carcere in Venezuela: «Non lo lasceremo solo»
Il cooperante italiano è detenuto a El Rodeo I senza accuse formali da 180 giorni. Il senatore Speranzon: «Si è aperto un canale con Maduro. La diplomazia è l’unica via per riportarlo a casa»

Sono ormai sei mesi che Alberto Trentini è rinchiuso in un carcere in Venezuela. Centoottanta giorni di appelli, manifestazioni, interviste a familiari e amici che però non sono riusciti a scalfire il silenzio che regna attorno al cooperante detenuto senza una contestazione formale precisa.
A infondere un po’ di fiducia si pensa il senatore di FdI Raffaele Speranzon, membro della commissione Affari Esteri: «È stato appena liberato un detenuto da molti anni in Venezuela (l’italo-venezuelano Alfredo Schiavo, rientrato in Italia a inizio maggio, ndr) e questo dimostra un aspetto positivo dell’evoluzione del rapporto instaurato con il governo Maduro. Noi lavoriamo senza sosta per tutelare i cittadini italiani: non li lasciamo soli, mai».

La svolta potrebbe arrivare proprio grazie a un canale di dialogo che, con fatica, si sta aprendo?
«La liberazione di quel detenuto è un segnale importante anche per il caso Trentini, anche se sappiamo bene quanto questo sia complesso».
La vicenda di Alberto Trentini è sempre al centro delle attenzioni del governo?
«L’attenzione del governo italiano è costante e concreta. La famiglia di Alberto Trentini è in contatto continuo con la Farnesina e ha avuto modo di interfacciarsi anche con il presidente del Consiglio dei Ministri. Il caso non è stato né dimenticato né accantonato: è presente, ed è sull’agenda della premier Meloni. Come detto, ci sono stati alcuni segnali positivi».
Che dialogo c’è, oggi, tra il governo Meloni e il regime di Maduro?
«SI rapporti non sono certo buoni, come del resto tra tutto l’Occidente e il Venezuela. L’Italia non ha mai smesso di denunciare la natura autoritaria del governo Maduro, dove i diritti civili vengono sistematicamente repressi. Ma in questo momento si cerca di non alimentare ulteriori tensioni, non è il momento di alzare il livello dello scontro. L’obiettivo resta tutelare i nostri cittadini».
Trentini è detenuto a El Rodeo I, luogo noto per sovraffollamento e violazioni dei diritti.
«Questo è un tema serio: la tutela dei diritti umani è centrale per noi e purtroppo sappiamo bene che le carceri venezuelane non rispettano gli standard minimi. Parlo anche di diritto a un giusto processo, diritto alla difesa. Nel caso del Venezuela, il dubbio serio nasce dal fatto che le persone ritenute pericolose dal regime lo sono spesso più sul piano politico che su quello sociale».
Qual è lo sforzo del Governo italiano?
«La diplomazia, in questo momento, è l’unico strumento che abbiamo. E dev’essere molto accorta, evitando che il caso venga letto in una chiave polemica o ideologica. È un governo comunista, e non mi mancherebbero certo le motivazioni per scendere in piazza contro Maduro. Ma farlo ora rischierebbe di compromettere quel fragile e difficilissimo canale di dialogo che siamo riusciti ad aprire».
Come risponde a chi dice che governo non sta facendo abbastanza per riportare a casa Alberto?
«Ci mancherebbe altro che non facessimo tutto il possibile per permettere al nostro concittadino di riabbracciare i suoi cari. È senza dubbio una tragedia, ma il Venezuela, oggi, è uno dei Paesi con cui è più difficile dialogare: in democrazia la magistratura è indipendente, mentre nel caso venezuelano è più che lecito pensare che risponda direttamente al potere politico. Le soluzioni, purtroppo, non sempre sono a portata di mano. A volte richiedono tempo, come ci ha insegnato anche il caso dei marò in India». —
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