Arresto per mafia annullato L’ingegnere Soffiato è libero

Il professionista della Fip di Selvazzano responsabile di un cantiere a Catania La difesa: «Al Riesame abbiamo documentato la sua estraneità a ogni accusa»
Di Giorgio Cecchetti

PADOVA. Come era accaduto all’amministratore delegato della «Fip Industriale spa» Mauro Scaramuzza, anche per l’ingegnere padovano Achille Soffiato, il Tribunale del riesame di Catania ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare per concorso esterno in associazione mafiosa e lo ha scarcerato. Il professionista, responsabile del cantiere in Sicilia per la ditta di Selvazzano, si trovava nel carcere di Catania dal 9 ottobre ed ha trascorso ben quattro giorni in più del suo capo chiuso in cella, anche se il suo difensore, l’avvocato padovano Carlo Augenti, aveva discusso il suo ricorso appena 24 ore dopo il collega che difendeva Scaramuzza. Anche in questo caso i giudici del Tribunale hanno smantellato la tesi dell’accusa, cancellando l’ordinanza di custodia cautelare per insufficienza dei gravi indizi, così come aveva chiesto l’avvocato Augenti, il quale aveva presentato una memoria di trenta pagine.

«Abbiamo documentato la totale estraneità da ogni accusa dell’ingegner Soffiato» ha dichiarato il legale padovano dopo aveva avuto notizia della decisione dei giudici etnei. Come Scaramuzza, anche Soffiato aveva spiegato di non aver mai saputo che Gioacchino Francesco La Rocca era il figlio di un capo mafia locale e boss della famiglia lui stesso. Con la scarcerazione non sono certo finite le disavventure per l'ingegnere mestrino, visto che l'indagine degli investigatori catanesi prosegue, ma la sua posizione si è certamente alleggerita. Con i due veneti della 8Fip Industriale» erano finiti in manette anche i catanesi La Rocca, il cognato Giampietro Triolo e il fratello Gaetano. Gli arrestati erano sospettati di aver frazionato, con la complicità di dipendenti dell'Anas di Catania, i subappalti senza superare la soglia di 154 mila euro, limite da cui scatta l'obbligo dei informative e certificati antimafia. Era la tecnica, secondo la Procura di Catania, adoperata per favorire l'inserimento di aziende del clan nella realizzazione del primo stralcio della "Variante di Caltagirone", che interessa otto chilometri e mezzo di una strada progettata negli anni Sessanta, finanziata con poco meno di 112 milioni di euro. Secondo l'accusa, la Fip Industriale, attraverso Soffiato e Scaramuzza , avrebbe affidato lavori in subappalto a società che, ritiene la Dda di Catania, erano controllate dalla "famiglia La Rocca". I carabinieri stimano che su circa 36 milioni di euro in subappalto, un milione siano arrivati a una ditta, la «To Revive», che era stata sequestrata assieme alla «Edilbeta costruzioni»: la prima gestita dal figlio del boss, la seconda da suo cognato.

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