Atleti e sponsor in fuga dopo il virus. Il Coni: «A rischio una società su due». Il "caso Padova"
In provincia 960 sodalizi, almeno metà ha un futuro incerto. Il presidente Bardelle: «Un dramma economico e sociale»

Dagli olimpionici alla bocciofila di quartiere, non si è salvato nessuno. Tutto lo sport - per come l’avevamo inteso e praticato fino a febbraio - si è fermato nel giro di poche settimane. Ma è adesso, mentre si riaccendono le palestre e si ripopolano i campetti, che si contano i danni. Con quelli economici devono fare i conti oltre 500 imprese sportive, contando fra queste chi produce, chi vende e chi noleggia attrezzature, oltre a chi gestisce impianti. E poco meno di mille società in provincia, il 17,7% delle 5.430 del Veneto. Con le conseguenze sociali, in termini di dispersione, disaffezione e difficoltà assortite, dovranno misurarsi nei prossimi mesi - in un match inedito - più di 87 mila atleti tesserati nelle 45 federazioni sportive e quelli che praticano le 19 discipline associate. E con loro, sempre considerando il territorio provinciale, oltre 18 mila operatori, fra tecnici, dirigenti e ufficiali di gara. Sono, tutte insieme, circa 110 mila persone. Colpite nella passione, ancora prima che nel business. Perché la ripartenza si annuncia difficile e sul campo, tra non molti mesi, si conteranno le perdite.
Gianfranco Bardelle, presidente regionale del Coni, misura a spanne gli effetti che l’onda lunga dell’emergenza sanitaria può avere sull’attività sportiva. «C’è il rischio serio di perdere metà dei tesserati. E di vedere scomparire tantissime società», attacca. «Quattro mesi di stop, più l’estate, sono un ostacolo altissimo da superare, soprattutto perché la gran parte dell’attività di base - e parlo delle piccole società, che non sfornano atleti professionisti, ma hanno un ruolo chiave nell’educazione e nel welfare - si svolge nelle palestre scolastiche. La disponibilità delle quali, al momento, è quantomeno incerta». Bardelle pensa al volley, al basket, al calcio a cinque, alla ginnastica, per fare qualche esempio. Per le società, oggi, è impossibile pianificare una ripresa. «E questo significa che migliaia di atleti non sanno cosa potranno fare a settembre. È un dramma sottovalutato, perché si considera lo sport soltanto come divertimento».
Gli impianti insostenibili
Per non parlare delle piscine, che a fatica tentano di riportare gli atleti in vasca. «Complessivamente», dice Bardelle, «nel Veneto ha aperto solo un impianto su dieci. Il perché si intuisce facilmente: i costi sono lievitati sensibilmente, tra obblighi di sanificazione, necessità di più personale e utenza ridotta. Già prima si faceva fatica a chiudere in pareggio, adesso gli imprenditori semplicemente alzano le braccia. E meditano di consegnare le chiavi ai Comuni, perché non ce la fanno». Ma è impensabile che siano gli enti pubblici a farsi carico di quello che prima facevano le società sportive, con l’apporto - dal valore inestimabile - di tanti volontari appassionati. «Ecco perché», conclude Bardelle, «ci aspettiamo aiuti dallo Stato e dalla Regione. Lo sport è anche un’industria, trascina il turismo, al mare, al lago e in montagna, oltre che nei campi di gioco».
Fermi mai
L’assessore comunale allo Sport, Diego Bonavina, da giorni è in tour, fra impianti e e palestre. E assicura che «dappertutto c’è la volontà di rialzare la testa e ricominciare». Ma basterà? «Non lo sappiamo, perché al momento mancano gli atleti. Per prudenza, perché il periodo non è più quello giusto o per un disorientamento generale, oggi gran parte delle strutture restano vuote», aggiunge l’assessore. Ed è questo che alimenta le maggiori preoccupazioni. «Si sperava in un ritorno in massa all’attività, che invece non c’è stato e probabilmente non ci sarà neanche a settembre. Non dobbiamo sottovalutare la sofferenza, soprattutto dei ragazzi, chiusi in casa e privati della socialità. Quelli che fanno sport di squadra non hanno ancora potuto riprendere a fare sport».
Gli aiuti
Il Comune ha fatto tutto il possibile per aiutare le società a rialzarsi. Ha sospeso il pagamento gli affitti degli impianti comunali, bloccato i piani di rientro dei debiti fino a ottobre e ha rimandato di tre mesi anche i pagamenti dei canoni degli impianti per la stagione scorsa. «Sappiamo che le società non hanno entrate e abbiamo teso loro una mano. Altri strumenti non ne abbiamo», dice Bonavina. «Ma siamo qui, vogliamo aiutare tutti a ricominciare». —

La più classica delle guerre tra poveri. Scuola contro sport, ossia gli ultimi della fila in questi mesi di emergenza. Quelli che non hanno mai riaperto - le scuole, appunto - o che l’hanno fatto fuori tempo massimo (le attività sportive) ora rischiano di trovarsi in concorrenza per gli spazi a disposizione. E a farne le spese saranno i ragazzi, cioè gli studenti e gli atleti.
Che sia un rischio concreto lo dimostra il fatto che diverse società sportive della città stanno preparando un documento con cui chiedono garanzie sulla disponibilità degli impianti per la prossima stagione. Tra i firmatari di questa richiesta ci sarà anche Nicola Bernardi, dirigente della Virtus Padova, storica società di basket della città con prima squadra in serie B e in zona playoff, fino a quando il campionato non si è fermato. «La preoccupazione nostra e di altre società è che a settembre le palestre scolastiche sulle quali abbiamo sempre potuto contare potrebbero non essere più disponibili», dice Bernardi. Che poi si affretta a chiarire: «Non abbiamo nessuna intenzione di fare la guerra alle scuole, ci mancherebbe, ma vorremmo che nella riorganizzazione degli spazi, inevitabile alla luce delle nuove regole, si tenesse conto che le palestre sono vitali per tutta l’attività sportiva». Sottinteso: se saranno trasformate in aule, l’attività sportiva di base non avrà più una casa.
Fin qui le preoccupazioni per il futuro prossimo. Poi c’è anche un presente che spaventa. «Noi abbiamo cercato di salvare il salvabile, dando ai ragazzi e anche ai bambini del minibasket la possibilità di fare videoallenamenti individuali ma in squadra», racconta Bernardi. «È stato un modo per mantenere i contatti, per salvare i gruppi. Ora stiamo ripartendo, con i più grandi. E a Rubano organizziamo i centri estivi, con un po’ di basket». Ma intanto la crisi si fa sentire su tutti i fronti. «Gli sponsor, soprattutto quelle piccole attività che contribuivano con piccole somme, ci hanno già fatto capire che l’anno prossimo non ci aiuteranno», va avanti Bernardi. «Cercheremo di accedere agli aiuti previsti nei vari decreti e confidiamo nell’approvazione del credito d’imposta per le aziende che sponsorizzano lo sport, ma i budget per l’anno prossimo saranno ridotti. Ai bimbi del minibasket penalizzati dallo stop di quest’anno faremo uno sconto sulle quote, speriamo che anche gli istruttori si accontentino di qualcosa in meno, faremo sacrifici da tutti i punti di vista perché le entrate saranno ridotte del 50% e anche allestire la prima squadra non sarà facile. Ci attende un periodo molto duro, speriamo almeno di poter contare sui soliti impianti». —

CADONI -AGENZIA BIANCHI-PADOVA - PALESTRA DANZA E FITNESS.
Atleti da fase uno. Chiusi in casa, per prudenza e per comodità. Un tappetino in salotto, la doccia a pochi passi, zero stress per il traffico e per il parcheggio. Nel lockdown hanno scoperto il piacere di allenarsi con l’istruttore in video e ora non vogliono più rinunciarci. Così le palestre riaperte, e costantemente sanificate - con tutte le spese che questo comporta - restano vuote. E i conti non tornano più.
un settore in apnea
Tra la città e la provincia il settore conta circa 70 aziende che muovono un indotto economico - solo con gli abbonamenti e le quote associative - di 50 milioni di euro (20 miliardi a livello nazionale) e 100 mila persone che vi gravitano intorno ogni anno. Senza contare i personal trainer che lavorano individualmente e il mondo dei gruppi parrocchiali. «Il lockdown ha causato danni da 150 mila euro al mese», attacca Sandro Cucuccio, referente palestre dell’Ascom. «Le stime dicono il 70% delle attività non riapriranno o chiuderanno. Lo scopriremo a settembre». Per ora tutti i segnali sono negativi: «Siamo al 30-40% degli accessi con incassi ridotti al 20% circa. Se l’anno scorso ad aprile una palestra aveva incassato 100 mila euro, quest’anno si è fermata a 25 e lo Stato al massimo ne aggiunge 15 mila. In più la gente ha paura e prende tempo, per capire se ci sarà o no una fase due. È come se avessimo aperto una nuova azienda senza sapere cosa stiamo facendo e soprattutto come reagirà l’utenza. Temiamo che fra posti di lavoro persi e cassa integrazione, circolerà poco denaro e la palestra sarà una delle prime voci da tagliare. Per ora chi regge lo fa grazie agli under 30 che sono meno preoccupati».
on line piace
Però i corsi in videocollegamento hanno aperto un filone tutto da esplorare. Tant’è che, superate la fase uno e anche la due, la gente continua a chiedere di fare allenamento davanti a uno schermo. «Andiamo avanti per esplorare questo nuovo mondo», insiste Cucuccio. «Ma a lungo andare non sarà una scelta vincente perché l'obiettivo è portare la gente in palestra».
i corsi deserti
Alcentro Danza&Fitness Tito Livio, nell’omonima riviera, stanno sperimentando gli effetti di questa nuova tendenza. «È come se fossimo rimasti alla fase uno», racconta Ambra Tesolin, la titolare. «Siamo partiti subito, una settimana dopo il lockdown, con le lezioni su Zoom, che sono state accolte con grande entusiasmo». Così grande che ora quasi nessuno vuole rinunciarci. «Un po’ per pigrizia e un po’ per prudenza, tanti vogliono andare avanti così». I numeri dei corsi lo confermano. Per il fitness c’era un bel gruppo di 150 persone, ora in palestra sono tornate solo 15. Per il corso di danza è lo stesso, con presenze al 10% del numero totale di iscritti. E il danno è multiplo. «Intanto noi teniamo aperta la palestra per pochi, ma con spese più alte di prima, perché abbiamo una serie di nuove incombenze, a cominciare dalla sanificazione. E poi perché altri vorrebbero iscriversi, vengono a fare la prova ma si trovano con due o tre persone e rinunciano. Abbiamo, incredibilmente, più personale che persone presenti per i corsi», va avanti Ambra Tesolin. «Vince la paura della seconda ondata di virus. Ed è comprensibile, la temiamo anche noi. Al prossimo stop, riaprire sarà davvero dura». —

PD 20/08/02 G.M. INTERVISTE SUL PIERCING IN PISCINA. VEDUTA DELLA PISCINA NUOTO PADOVA (SALMASO)
Paura e necessità dettano legge negli impianti sportivi post-Covid19: l’ingresso alle piscine è ridotto al 30-50% rispetto ai tempi pre-virus, mentre la richiesta per i centri estivi è sempre più alta della reale accoglienza. Succede al Plebiscito, in via Geremia e succede a Padova Nuoto, che gestisce l’impianto militare di Salboro. Il resto, purtroppo sempre in negativo, lo sta facendo il meteo con pioggia e temperature più basse della media stagionale. «Abbiamo attivato tutti i corsi», spiega Dimitri Barbiero, patron del Plebiscito e del Centro Sportivo 2000 di via Pioveghetto, «ma l’affluenza è al 30% rispetto agli anni passati e arriviamo al 20% del budget. Il danno maggiore lo registrano le piscine perché con la pioggia non viene nessuno. Pertanto i corsi accelerati estivi, che dovevano riprendere questa settimana, sono stati rimandati alla prossima. I bagnanti invece non hanno neanche iniziato a frequentare gli impianti. Quei pochi che erano venuti, nelle tre giornate di sole da quando abbiamo riaperto, hanno incontrato resistenze con la prenotazione, la piazzola, gli spogliatoi e i tempi rigidi. Per gli accelerati (i bambini che imparano a nuotare in vista dell’estate) siamo addirittura a un decimo dei numeri pre-Covid. E anche per i corsi degli adulti non va bene: dove c’erano 20 persone ce ne sono 8. A livello nazionale si prevede che il 50% delle piscine chiuderà definitivamente e secondo me questo è un dato che si abbina alla nostra provincia».
Chi non ha paura sono gli atleti: «Chi fa sport agonistico ha voglia e bisogno di allenarsi», continua Barbiero, «ha ripreso più del 50%. Tuttavia gli sport di squadra come le arti marziali hanno provato e poi subito uno stop perché non è facile l’organizzazione. L’unica cosa che continuano a chiederci sono i centri estivi. Ma qui i numeri non li decidiamo noi: ne possiamo accogliere un terzo rispetto all’anno scorso e con tariffe maggiorate del 50%, dunque se prima una settimana costava da 50 a 100 euro, adesso costa da 70 a 150 euro». Idem a Padova Nuoto: «Abbiamo riattivato tutti i corsi», racconta Luigi Poli, il titolare, «ma dove c’erano 50 bambini adesso ce ne sono 12-15. Ci aspettavamo molto di più dalle piscine, ma il tempo ci sta dando molti problemi. L’attività fitness è iniziata questa settimana (i pesi invece lo scorso 3 giugno), ma anche qui se prima avevamo 20 persone per classe adesso ne possiamo avere 12 e se ne presentano 6-7. L’unica eccezione positiva è il tennis, sia per adulti che per bambini, perché è uno sport che ha un distanziamento sociale naturale e tranquillizza psicologicamente le persone. Addirittura abbiamo attivato un corso estivo per i bambini da 6 a 12 anni al mattino (70 euro per 10 lezioni da un’ora). E poi ci sono i centri estivi che rispondono a tutt’altra logica: siamo full fino a metà luglio, abbiamo ancora qualche posto solo da fine luglio» . —
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova
Leggi anche
Video