Autostrade, lo sconforto del gruppo Benetton: «La partita è tutta politica»

Sulla revoca della concessione verso una battaglia giudiziaria in sede europea, l'obiettivo è l'indennizzo da 23 miliardi 
Luciano Benetton
Luciano Benetton

TREVISO. La trattativa è appesa a un filo, estremamente esile. Da casa Benetton nessuna illusione sull’esito del confronto con il governo sulla partita Autostrade per l’Italia (Aspi). Nessuna illusione, perché la partita viene intesa «tutta politica». E la netta impressione è che, in presenza di una impuntatura da parte dell’ala dura in seno al governo del Movimento 5 Stelle per la revoca della concessione, il premier Giuseppe Conte darebbe il placet pur di non rischiare di finire gambe all’aria. In vista di tale finale della partita, Atlantia (azionista di Aspi con l’88%) affila le armi per chiedere giustizia in sede Ue contro lo Stato italiano. Uno scontro frontale tra il governo di Roma e il gotha dei fondi di investimento mondiali, azionisti di Atlantia assieme ai Benetton e risolutamente determinati a ottenere l’indennizzo di 23 miliardi previsto in caso di revoca della concessione. Non i 7 miliardi indicati all’articolo 35 del decreto Milleproroghe, ma i 23 contemplati nella convenzione tra Stato italiano e Aspi.

Il nuovo ponte di Genova
Il nuovo ponte di Genova


Gianni Mion, presidente di Edizione, cassaforte dei Benetton, sostiene che da parte di Aspi e Atlantia è arrivata al governo «una proposta seria». «Non sono ottimista» aggiunge lo storico manager della famiglia trevigiana. Eufemismi. Chi ha lavorato al dossier sostiene che i parametri finanziari sono stati tirati al massimo e che di più non era e non è possibile mettere sul piatto in termini di indennizzi per la caduta del ponte Morandi, per nuovi investimenti, per la riduzione delle tariffe al casello.

Il punto chiave sta nella tesi di fondo marchiata M5S: i Benetton devono uscire da Aspi. La semplificazione consiste nella equivalenza Atlantia = Benetton, mentre i secondi possiedono appena il 30% della holding, leader a livello internazionale nella gestione di autostrade e aeroporti. Il resto appartiene al «mercato», ossia a investitori come Lazard, Hsbc e Fondazione Crt, fondi come Gic, Tci, Fidelity, Black Rock, Generali. I capitali di Atlantia sono al 23% con bandiera Usa, al 20% inglese. Pacchetto di mischia pesante per la partita che andrà in scena a Bruxelles, dove peraltro il fondo sovrano cinese “Silk road” e la compagnia tedesca Allianz – entrambi azionisti diretti di Aspi – avevano inviato formale lettera di protesta un anno fa.

Atlantia ha già da tempo dichiarato la disponibilità a scendere in minoranza in Aspi, consentendo l’ingresso al 51% di un azionista di controllo gradito al governo italiano (Cdp). Ne deriverebbe che Atlantia scenderebbe al 37% e gli altri due soci Silk Road e Allianz sommerebbero il 12% rimanente. La diluizione avverrebbe con aumento di capitale, senza alcun incasso da parte di Atlantia, per garantire un rafforzamento patrimoniale sempre più urgente per Aspi. Ma il passo indietro potrebbe non bastare a chi nel governo vuole che i Benetton siano messi alla porta e magari la concessione affidata all’Anas (che solo poche stagioni fa era tra gli emblemi dell’inefficienza cronica dello Stato). E allora la revoca resterebbe l’unica via, con annesso scontro in sede comunitaria.

Atlantia e Aspi, afferma ancora Gianni Mion, «hanno fatto un grande sforzo, anche professionale», per cui ora «non resta che aspettare». E conclude così: «Le due aziende hanno presentato una proposta seria. Hanno fatto ciò che dovevano e potevano fare. Anche se io sono pessimista. Ora ognuno deve fare ciò che ritiene giusto, non è tempo di spendere parole. So che è stato fatto un lavoro molto vasto e spero che venga letto e meditato senza pregiudiziali». —
 

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