Banca Annia si tiene e trasforma in attivo il rimborso atteso dal Fondo di garanzia
VENEZIA
Banca che vai, guai che trovi. Cinque anni fa, mentre Popolare di Vicenza e Veneto Banca tiravano le cuoia, si spegneva la luce anche per banche più piccole ma importanti per il territorio: Crediveneto, Banca Padovana, Bcc Atestina, Bcc Euganea, Bcc di Lusia, seguite a ruota da Banca del Veneziano, Bcc Centroveneto, Bcc Colli Euganei, Bcc di Sant’Elena, Bcc di Marcon, Bcc di Marellago, Credito Trevigiano, Banca di Monestier e del Sile. Qualcuna messa in liquidazione coatta, molte commissariate e poi assorbite con un processo violento da altre banche e con un ruolo egemone nel Veneto della Bcc di Roma, vai a capire perché. Poche hanno superato le crisi ingrandendosi con fusioni alla pari, frutto di scelte industriali e non di necessità di sopravvivenza. In qualche caso la fusione è avvenuta tra banche molto debilitate e due zoppi non fanno un corridore. Ma anche quando i matrimoni vengono salutati con grande enfasi, le cifre dei bilanci possono nascondere una realtà diversa.
Prendiamo il singolare caso di Banca Annia, che porta il nome dell’antica strada romana di collegamento tra Adria e Aquileia. Banca Annia, nata dalla fusione tra la Bcc del Polesine e quella di Cartura, è cresciuta inglobando nel 2017 la Banca del Veneziano, commissariata da Banca d’Italia, e viaggia adesso con il vento in poppa. Almeno stando ai comunicati che accompagnano il bilancio 2020 appena approvato, dal quale risulta un utile di 217.458 euro. È vero che è in forte calo rispetto ai 3.052.824 euro del 2019 ma la dirigenza spiega che la raccolta è aumentata, sfiora i due miliardi, sono cresciuti gli affidamenti che toccano il miliardo, a precipitare sono solo i crediti deteriorati. Cosa si vuole di più?
Peccato che a puntellare la baracca siano i 4,8 milioni di euro incassati nel 2019 dall’azione di responsabilità nei confronti dell’ex dirigenza della Banca del Veneziano, chiamata a suo tempo a rispondere del dissesto. Per evitarlo era intervenuto il Fondo di garanzia delle Bcc, gettando nella mischia 36 milioni di euro. Servivano a rilevare 84 milioni di sofferenze del Veneziano ma non erano a fondo perduto: un contratto di cessione del credito prevedeva la retrocessione al Fondo del ricavato dall’azione di responsabilità verso gli ex amministratori. Quando Banca Annia ha incorporato Banca del Veneziano ha ereditato anche quel contratto, grazie al quale è diventata titolare dei 4,8 milioni della transazione. Avrebbe dovuto retrocederli al Fondo, invece ha trovato più comodo inserirli a bilancio sotto la voce «proventi straordinari di gestione». Ecco perché nel 2019 l’utile ha toccato quota 3.052.824 euro: senza la penale pagata dall’ex dirigenza del Veneziano il bilancio sarebbe andato in rosso per 1.747.176 euro. E nel 2020 sarebbe sprofondato a meno 4.582.542 euro.
Con quali motivazioni Banca Annia si trattiene il malloppo? Nella relazione al bilancio 2020 si legge che «sulla scorta del parere espresso da un consulente incaricato dalla banca le somme pretese dal Fondo di garanzia non sono dovute». Tanto basta. Sottoscritto dal Cda, dei revisori, dal collegio sindacale e ribadito a voce dal direttore generale Andrea Binello.
Al Fondo di garanzia non vorrebbero crederci: «In 24 anni di attività è la prima volta che capita un fatto del genere», dice il direttore generale Roberto Di Salvo. «C’è un contratto firmato, depositato dal notaio, con l’impegno a retrocedere il ricavato dell’azione di responsabilità. Anzi, prima ancora avrebbero dovuto concordarla con noi, invece l’abbiamo saputo dai giornali. Abbiamo scritto lettere su lettere, loro niente, hanno messo in bilancio i 4,8 milioni senza neanche un minimo di accantonamento. Siamo allibiti, ma se vogliono andare per vie legali non ci resta altro».
«Noi siamo sereni», ribatte Binello, «è una questione di interpretazione del contratto, un contenzioso come tanti altri». Ma tace sul mancato accantonamento che non è un’inezia. E anche sullo stato del contenzioso, che è sui debiti non sui crediti: c’è un arbitrato in corso (i commissari sono Romano Vaccarella, Mario Bussoletti e Giorgio De Nova) ma solo perché imposto dal contratto prima della citazione in tribunale. —
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