Beggiato: «Lega senza Nord più danni che vantaggi»
VENEZIA. La Lega nel Veneto non è sempre stata nordista. Al contrario, il Nord è un “marchio di fabbrica” della Lombardia. Le radici venete sono antistataliste e autonomiste e quando emergono fanno...

VENEZIA. La Lega nel Veneto non è sempre stata nordista. Al contrario, il Nord è un “marchio di fabbrica” della Lombardia. Le radici venete sono antistataliste e autonomiste e quando emergono fanno ancora la differenza tra le due regioni, come ha dimostrato il referendum. Questa matrice comincia a oscurarsi nel 1991 quando accanto al nome originario di Liga Veneta Umberto Bossi impone quello di Lega Nord. È il timbro del vincitore, il marchio di dominio lombardo, hanno sempre detto gli avversari di Bossi. Ciò non toglie che i veneti che sono entrati nella Lega dopo il 1991 e sono cresciuti con il mito del Nord, avvertano oggi una dolorosa fitta al cuore: con il cambio di simbolo avviato da Salvini non perdono solo una parola ma un pezzo della loro storia.
Questa ricostruzione è di Ettore Beggiato, storico veneto e militante venetista, oltre che ex consigliere regionale ai tempi della Liga Veneta-Lega Nord. Ma non mancano le perplessità.
Scusi Beggiato ma “el leon che magna el teron” non sarà mica un’invenzione dei lombardi?
«Diciamo che quella era una versione popolana. La Liga Veneta che manda Achille Tramarin in parlamento nel 1983 e che elegge Ettore Beggiato e Franco Rocchetta in consiglio regionale nel 1985 parlava solo di Veneto. Era un partito-movimento venetista e antistatalista».
Quando prende la piega spiccatamente nordista?
«Nei primi anni Novanta quando la Liga Veneta viene assorbita dalla Lega Lombarda e nasce la Lega Nord».
È allora che la parola Nord entra nel simbolo.
«Esatto. Alle elezioni europee del 1989 si era presentata addirittura come Alleanza Nord. Poi nel dicembre 1991 si arriva al partito unico Lega Nord, con il congresso di Pieve Emanuele».
È anche vero che l’antistatalismo comportava la mitizzazione del Nord. Gli slogan che lei chiama popolani lo dimostrano: era nelle cose, a parte Bossi. O no?
«Secondo me no. La differenziazione tra lighisti della prima ora e leghisti venuti dopo c’è sempre stata. Io per esempio ho sempre parlato solo di Veneto, il Nord non mi rappresenta».
Lei quando è uscito dalla Lega?
«Io entro in Liga Veneta nel 1980, vengo espulso dalla Liga nel 1987, rientro nella Liga Veneto-Lega Nord, quindi formalmente Lega Nord, nel 1995 e ne esco nel ‘98 quando nasce la Liga Veneta Repubblica di Fabrizio Comencini, contestando il centralismo milanese».
Oggi quel gruppo è scomparso, la classe dirigente della Lega in Veneto è fatta da gente cresciuta con il mito del Nord.
«Questo è vero, noi siamo stati messi fuori con il braccio di ferro del 1998. Ci siamo scontrati e abbiamo perso. Sono due storie abbastanza diverse: se a me il Nord non dice niente, capisco che il cambio di nome lasci l’amaro in bocca a parecchi leghisti della base, questo sì».
Ma i dirigenti fanno pompieraggio…
«I dirigenti seguono Salvini perché capiscono la ragione politica di questo trasformismo, anche se non so quanto sarà efficace. Ci aveva già provato Bossi nel 1993 mettendo in soffitta il nome Nord e trasformandolo in Lega Italia Federale, con l’obiettivo di sfondare al sud. Pochi lo ricordano».
Solo al sud perché al nord aveva mantenuto il simbolo Lega Nord.
«Ma l’operazione non aveva dato risultati soddisfacenti. Oggi non è che se Salvini fa un corso accelerato nelle lingue dell’Italia meridionale, quelli lo prendono per un altro. Resta il Salvini che conosciamo, i leghisti restano leghisti, soprattutto per il sud. Tra l’altro nel sud una fetta consistente del consenso va al voto di scambio e il voto antisistema lo prendono i grillini: sono piuttosto scettico sullo sfondamento della Lega. Non mi sembra che ci siano spazi politici. Lamia impressione è che faranno molta fatica».
Dunque la manovra rischia di non avere successo a Sud e di provocare contraccolpi negativi al Nord: due danni in un colpo solo?
«Anche perché questa accelerazione è arrivata pochi giorni dopo un risultato molto importante ottenuto, soprattutto nel Veneto, in chiave fortemente autonomista. E molti qui si aspettavano da Salvini un atteggiamento più solidale con la Catalogna, invece la Lega è stata molto distaccata».
Questo malumore potrà sfociare in qualcosa di pericoloso per la dirigenza?
«Non credo, il malumore c’è ma i leghisti hanno anche la consapevolezza che non c’è alternativa. Il leghista medio continuerà a votare Lega e la Lega nel Veneto continuerà a fare il pieno».
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