Bellini, trent'anni dopo l'abbattimento in Irak: «Mi mancano tanto i caccia, ma laggiù ho imparato l'umiltà»

VIRGINIA BEACH. «Li sento ogni giorno i caccia, quando si alzano in volo dalla base qua vicino. Alzo lo sguardo, li osservo e penso che, nonostante tutto, vorrei essere ancora lassù». Gianmarco Bellini, oggi, è un uomo di 62 anni, un generale dell’Aeronautica in pensione. Ha una moglie, due figli, un ristorante e una casa con giardino e piscina dove taglia l’erba quasi ogni sabato. Vive negli Stati Uniti a Virginia Beach, dove è anche console onorario d’Italia. Il cuore che batte però, è sempre quello di un Top Gun.
Trent’anni fa, la notte tra il 17 e il 18 gennaio 1991, l’aereo Tornado del pilota Gianmarco Bellini e del navigatore Maurizio Cocciolone venne abbattuto durante i bombardamenti, nel corso dell’operazione Desert Storm sull’Iraqdi Saddam Hussein. Il Tg1 aveva il volto di Paolo Frajese, il primo ministro era Giulio Andreotti. L’Italia rimase per 47 giorni con il fiato sospeso per le sorti dei due aviatori rapiti. Bellini, nato a Montagnana, conserva ancora la residenza a Pressana (Verona), anche se la vita l’ha portato a 9 mila chilometri di distanza, 14 ore e mezza di volo.
Gianmarco Bellini, davvero le manca volare sui caccia? Non ne ha avuto abbastanza?
«Mi mancano quelle emozioni, quella velocità. Qua vicino c’è la base di Oceana. Vedo gli F-18 e penso».
Dunque, dopo aver girato il mondo, si è fermato negli Stati Uniti.
«Alla fine si vive dove ci sono gli affetti più cari. Questa zona l’ho conosciuta negli ultimi quattro anni di servizio come ufficiale Nato a Norfolk. Sono qua dal 2005 e qua ho conosciuto anche mia moglie Gilda, una napoletana. Abbiamo un piccolo ristorante: lei lo gestisce, io faccio qualche volo come istruttore».

Cosa ricorda di quella notte?
«Ricordo tutto. Partimmo alle 2 di notte, avevamo due ore di volo. La nostra era una missione a bassa quota, avevamo come target un deposito di munizioni in Kuwait, al confine con l’Iraq. C’era un tempo pessimo. Fui l’unico a riuscire a fare rifornimento in volo. Purtroppo gli iracheni avevano riempito la costa di contraerea. Ci beccarono in pieno sul piano di coda del Tornado, che divenne incontrollabile. L’aereo fece un primo tonneau, una rotazione sull’asse longitudinale. Rischiavamo di schiantarci ma, durante la seconda rotazione, riuscimmo a tirare la leva di espulsione. Eravamo a 30 metri da terra».
L'abbattimento ripreso dalla scatola nera del velivolo

Dopo la liberazione cos’ha fatto?
«Ci liberarono il 3 marzo, in aprile già volavo di nuovo. A maggio del 1991 ho iniziato a fare l’istruttore, Maurizio invece ha continuato con le missioni: è stato anche in Afghanistan. Sono stato in servizio fino al 2011, poi mi sono congedato».
Con Cocciolone vi sentite?
«Ci siamo sentiti un paio di volte ultimamente. Lui vive in Brasile ora».
Ma, alla fine, ha metabolizzato quel trauma?
«Sì, completamente. L’unica cosa che ancora mi tocca dentro, è quando vedo prigionieri di altre guerre. In quei momenti ripenso sempre a me, a noi».
Bellini regala all'Aeronautica il suo giubbotto da prigioniero
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