Nasce in Brasile la prima cattedra universitaria al mondo dedicata alla lingua veneta
All’Universidade Federal de Santa Maria (Rio Grande do Sul) partirà il primo corso accademico dedicato alla lingua veneta, grazie a un accordo con l’Academia de ła Bona Creansa. Le 15 lezioni, tenute dal professor Alessandro Mocellin, affronteranno ortografia, pronuncia e cultura veneta. Il docente: «Non è un dialetto»

Il primo corso accademico di lingua veneta prende il via il 7 agosto sotto il cielo del Brasile, nell’ateneo federale di Santa Maria, nel popoloso stato di Rio Grande do Sul, terra di storia e memoria nordestina.
Quindici lezioni in portoghese, 45 ore in totale incluse esercitazioni e lettorati, ventidue gli studenti iscritti in partenza: «Una classe di tutto rispetto trattandosi di un corso inedito e facoltativo», commenta Alessandro Mocellin, il bassanese che salirà in cattedra per trasmettere il bagaglio acquisito nei 30 trent’anni di ricerche culminati nell’Academia de la Bona Creansa, il cenacolo fondato nel 2014 che ha sede a Palazzo Sebellin, nel cuore di Rossano Veneto, ed è partner dell’università nel progetto.
Il Veneto, una lingua
Una sfida stimolante, a dispetto di quanti negano al veneto la dignità di lingua, definendolo una variante dialettale.
«Chi lo afferma, evidentemente, ignora i termini della questione», è la replica del docente, già autore di un manuale linguistico-comparativo per l’università di Francoforte, lesto a ribattere alle obiezioni più frequenti: «Lengua veneta minoritaria e locale? Niente affatto, nella nostra regione è maggioritaria, in Italia è parlata in più enclave, nel mondo la ritroviamo in Australia, Canada, Argentina, Brasile, Messico, Istria. Le diversità di espressioni e accenti tra Padova, Treviso, Venezia, Belluno? A spiccare, semmai, è la koiné straordinariamente simile che accomuna il Veneto centrale mentre il ladino, pure riconosciuto come lingua, conta almeno cinque varianti in una comunità di 30 mila persone appena».
Anche scritta
Guai, soprattutto, a restringere il veneto nella dimensione orale. «Equivarrebbe a rimuovere mille anni di tradizione letteraria, a partire dall’Indovinello veronese in età carolingia, il primo testo in volgare, di gran lunga precedente l’adozione del toscano dotto come lingua nazionale. Una civiltà della scrittura che ci ha lasciato trattati di astronomia e di scherma, saggi di botanica e annali di storia. Fino all’opera di Marco Polo, ad Antonio Canova che si rivolge al Papa parlando in veneto, a Giacomo Casanova che traduce l’Iliade nella lingua della Serenissima».
Storia, cultura, indagine etnolinguistica. Ma la politica è dietro l’angolo. Perché l’orgoglio delle radici connota i movimenti indipendentisti e il consiglio regionale a prevalenza leghista, per voce del presidente Roberto Ciambetti e del capogruppo Giuseppe Pan, plaude convinto all’iniziativa. Sul versante opposto, peraltro, la sinistra guarda all’operazione con scetticismo misto a diffidenza.
«L’Academia non riceve finanziamenti pubblici e non risponde ad alcun partito. Confido nella buona fede di tutti ma gli atteggiamenti “di pancia”, favorevoli e contrari che siano, non aiutano: la dignità della nostra lingua prescinde dal colore delle casacche, è una questione essenzialmente scientifica. Avversarla per ragioni di schieramento è un errore».
Meglio insegnare l’inglese?
I critici, tuttavia, invitano a privilegiare l’attualità rispetto alla nostalgia: meglio insegnare ai nostri ragazzi l’inglese, è il ritornello. «Ma il lessico veneto non è uno stigma, né il lascito dei nostri nonni sinonimo di miseria e arretratezza», si infiamma Mocellin, «chi lo apprende sarà agevolato nell’approccio fonologico a tutte le lingue romanze nonché alla struttura grammaticale inglese e tedesca. Altro che limitazione, è un plus, anche sul piano didattico».
Il Talian
Di certo lo è agli occhi della folta colonia venetofona di Rio Grande e Santa Caterina, sesta-settima generazione dell’ondata migratoria che prese avvio 150 anni fa. Nella seconda metà dell’Ottocento i coloni giunti da Veneto, Friuli Venezia Giulia e Lombardia “antropizzarono” vasti territori del sud brasiliano (tuttora costellati dai toponimi di provenienza) diffondendo la loro parlata.
Una lingua ribattezzata “Talian”, scolpita nel tempo al punto da indurre il governo di Brasilia a dichiararla «patrimonio nazionale culturale e immateriale». Una scelta presto imitata da Slovenia e Croazia. Il prologo al fatidico corso (scandito dalla formazione dei docenti e dall’assegnazione di tesi di laurea dedicate) che all’insegnamento della grafia ufficiale abbinerà la presenza di scrittori, eredi legittimi della “Merica” dell’epopea. —
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