«Brotto, nessuna prova delle sue responsabilità»

VENEZIA. Ha patteggiato due anni per corruzione con la confisca di 600 mila euro dopo l’arresto per lo scandalo Mose. Ma per il giudice del lavoro il suo licenziamento è «illegittimo». Così Maria...
Di Alberto Vitucci

VENEZIA. Ha patteggiato due anni per corruzione con la confisca di 600 mila euro dopo l’arresto per lo scandalo Mose. Ma per il giudice del lavoro il suo licenziamento è «illegittimo». Così Maria Teresa Brotto, padovana, per vent’anni vicedirettore del Consorzio Venezia Nuova e braccio destro di Mazzacurati, dovrà essere risarcita. Un milione di euro, pari a venti mensilità più i premi e la rivalutazione. Lo ha deciso il giudice del lavoro del Tribunale di Venezia Anna Menegazzo. Una sentenza di cui sono state rese note ora le motivazioni. Che non mancheranno di far discutere. È una sorta di «controprocesso» penale quello motivato dal magistrato del lavoro. Che ha dato ragione alla manager, difesa dagli avvocati Maria Luisa Miazzi, Paola e Francesco Rossi, respingendo le motivazioni della nuova dirigenza del Consorzio commissariato, tutelato dagli avvocati Alfonso Papa Malatesta e Maria Teresa Scarpati. «Licenziamento motivato con contestazioni generiche», scrive la giudice. Che contesta anche la colpevolezza della Brotto rispetto alle imputazioni penali. «Non erano provati i fatti, comunque generici indicati nella sentenza penale a fondamento di una sua responsabilità nell’ampio sistema di corruttele sviluppatosi intorno al Consorzio Venezia Nuova». Non basta insomma il patteggiamento. «Accettato», ipotizza il magistrato, «mentre il marito (ingegnere e consulente dello stesso Consorzio) si trovava in precario stato di salute». La Brotto aveva definito il licenziamento, deciso dal commissario Luigi Magistro e scritto materialmente dall’ex direttore generale – anch’egli poi licenziato – Ermes Redi come «sproporzionato». Arrivando anche a chiedere un altro mezzo milione di euro come «compenso aggiuntivo per la direzione lavori dei cantieri del Mose. Richiesta quest’ultima respinta perché l’ingegnere riceveva già per questo 20 mila l’euro l’anno aggiuntivi allo stipendio di 27 mila euro al mese.

La giudice del lavoro contesta anche le accuse rivolte alla Brotto in sede penale. «Gli elementi istruttori di causa a sfavore della ricorrente», si legge nelle motivazioni, «sono tutt’altro che solidi, se si considera che le dichiarazioni di Piergiorgio Baita, l’unico degli imputati a coinvolgere la Brotto, sono risultate contraddette da fonti dotate di maggiore obiettività». Un giudizio di merito anche sull’«obiettività» di uno dei supertestimoni nonché imputati dello scandalo Mose. Perché «alcun altro soggetto coinvolto nelle indagini», scrive Menegazzo, «ha riferito di un ruolo di Brotto nel sistema di corruttele». Non è decisivo nel senso della colpevolezza della ricorrente, secondo il giudice del lavoro, neppure il ritrovamento fatto dalla Guardia di Finanza di numerosi documenti nel computer della dirigente che avrebbero dovuto essere fatti dal Magistrato alle Acque. Una prassi che secondo il giudice del lavoro «non dimostra che la ricorrente fosse consapevolmente partecipe del sistema di corruzione». Anche i pagamenti delle tangenti a Cuccioletta sarebbero stati fatti da «altre persone». Dunque la Brotto non avrebbe alcuna responsabilità penale, nonostante il patteggiamento. Per lo Stato una beffa doppia. Perché oltre al danno – anche di immagine – richiesto ai personaggi coinvolti nello scandalo, ora dovrà pagare anche il risarcimento. Una sentenza che l’Avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo, ha già impugnato in appello. Nella parte finale della sua sentenza, il giudice scrive: «Per il suo ruolo di alta responsabilità la Brotto non può dirsi esente da censure, quantomeno per non aver inteso l’estensione e gravità del sistema di corruttela imperante all’interno del Cvn e non essersi attivata per farlo cessare».

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