Caffè a 50 cent se porti la tazzina da casa: «Così combattiamo gli aumenti»
L’iniziativa del bar da Giulia, nel quartiere Crocifisso di Padova. La titolare: «L’ho visto fare altrove, mi è sembrata un’idea bellissima». Lina Oldrati, la gestrice: «Un chilo di arabica è salito da 17 a 35 euro. Non voglio che questo pesi sulle tasche dei clienti»

«Caffè a 50 cent se porti la tazzina da casa». Lo ha scritto su una lavagna sistemata in bella vista, il bar da Giulia, in via del Commissario 32. Da un paio di settimane, Lina Oldrati – madre di Giulia, titolare a casa in maternità – ha introdotto questa usanza nell’attività di famiglia.
«L’ho fatto per combattere lo spreco e non lasciare che il caro caffè renda questo piacere un lusso per pochi», spiega Lina, entusiasta di aver riproposto un’iniziativa rubata a colleghi del Sud Italia.
«Quando l’ho visto fare altrove, in una caffetteria, ho subito pensato: è bellissimo, dobbiamo prendere esempio». Detto, fatto. Per la gioia del quartiere Crocifisso, a cominciare dalle maestre della vicina scuola primaria Quattro Martiri, già entrate nell’ottica della nuova abitudine.
Ecologia per l’ambiente e le tasche
Ragioni ecologiche, si diceva. «Vendere il caffè a 50 centesimi, in questa modalità, permette al bar di caricare meno la lavastoviglie e limare i costi di gestione. Alle tasche del cliente, di subire meno i rincari del prezzo del caffè, negli ultimi tempi alle stelle», racconta Lina. Nel giro di due anni, un chilo di materia prima che acquistava a 17 euro, oggi lo paga 35, «per non parlare del decaffeinato salito addirittura a 45. Inutile dire che il prezzo dell’espresso al banco è progressivamente lievitato, diradando la clientela meno benestante. «Da 1,20 a 1,40 euro, ma dovremo alzare a 1,50», fa sapere a malincuore la barista.
Lina: «Il bar è un luogo felice»
Dieci, venti, trenta centesimi in più. Risultato? «Diverse persone non si sono più viste, o quantomeno non più tutti i giorni. Il caffè è diventato un lusso, così come la colazione al bar. Ma questo è un luogo felice, di socialità, e tale deve restare».
Quello del bar da Giulia è quasi un invito a mantenere viva una tradizione: «Qui si scambia una chiacchiera, si riceve un sorriso – incalza Lina – Non voglio che qualcuno sia costretto a rinunciarci. A maggior ragione se per questioni economiche».
Tra i nuovi habitué della tazzina da casa, c’è un papà: «Simpaticissimo, è venuto con un cestino carico di tazzine tutte dipinte a mano, prese come souvenir in qualche località turistica, appositamente per offrire il caffè a un gruppo di amici», ricordano dal bancone.
L’appello agli esercenti
No corretto, macchiato o al ginseng. La regola vale per l’espresso. E la tazzina tassativamente non deve essere un bicchierino di carta o plastica. «Questo perché la igienizzo prima di preparare il caffè, con vapore e acqua bollente», chiarisce Lina, che lancia un appello ai colleghi esercenti: «Per chi lavora nella ristorazione, quello del caro caffè ormai è un argomento all’ordine del giorno. Vorrei che altri facessero lo stesso per dare un messaggio alla comunità – puntualizza – Chi ha scelto questo mestiere ha, o dovrebbe avere, un’attitudine all’accoglienza, alla convivialità. Se queste rischiano di essere compromesse, è giusto cercare di salvaguardarle».
Prendi uno, paghi due
Non stupisce, allora, che di fianco alla cassa campeggi un barattolo pieno di monete con su scritto «se non ti servono lasciali» e «se ti servono prendili». Né che, da un paio di mesi, il Bar da Giulia abbia introdotto la pratica del «caffè sospeso»: il cliente che ordina un caffè, può pagarne due, offrendolo al successivo. Noto o ignoto, non fa la differenza.
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