Coronavirus in Veneto, ora le case di riposo rischiano tantissimo

Si moltiplicano decessi e contagi nelle strutture di tutta la regione. Lunedì 23 vertice Zaia-sindacati. Gli esperti: la demenza senile concausa della diffusione
ANZIANI IN CASA DI RIPOSO
ANZIANI IN CASA DI RIPOSO

VENEZIA.Emergenza case di riposo: c'è il rischio fondato che la situazione degeneri entro breve. I segretari generali confederali Ferrari, Refosco e Colamarco hanno scritto il 19 marzo al governatore Luca Zaia e all'assessore alla sanità Manuela Lanzarin sollecitando un incontro urgente (rispetto a una nota di due giorni prima "rimasta inevasa") per affrontare l'emergenza Coronavirus "nelle case di riposo della nostra regione" dove ha ormai assunto "contirni drammatici".

L'incontro è stato fissato e si terrà lunedì 23 alle ore 15 in videoconferenza. In queste ore, oltre alla nota e acclarata emergenza nelle strutture ospedaliere, stanno emergendo da più parti segnalazioni di contagi.

Da Merlara a MOnselice e Galzignano Terme in provincia di Padova a Casale sul Sile e Zero Branco nella Marca, da Alano di Piave e Puos d'Alpago nel Bellunese sino a Portogruaro.

«Merlara non è il primo e non sarà certamente l’ultimo esempio di struttura per anziani in cui avviene un contagio. Chiediamo davvero maggiori attenzioni per queste realtà dove la popolazione è anziana e dunque più fragile ed esposta».

Francesco Facci, 60 anni di San Donà di Piave, è direttore del centro servizi per anziani della Fondazione Santa Tecla di Este, ma è anche presidente di Uneba Veneto, la più rappresentativa e longeva organizzazione di categoria del settore sociosanitario, assistenziale ed educativo.

Nella nostra regione Uneba vanta 85 enti associati, molti dei quali sono appunto centri per anziani. Presidente, anche alla luce del caso-Merlara (83 contagiati, di cui 23 dipendenti), siete preoccupati per l’esposizione dei centri per anziani al Covid-19?

«Lo siamo molto. Merlara non è il primo e non sarà il primo caso. Stiamo chiaramente parlando di strutture con una popolazione anziana, dunque fragile e che può fare scarsa opposizione al virus una volta contratto».

Le autorità stanno dedicando la giusta attenzione a realtà come le vostre?

«Purtroppo siamo figli di un dio minore. Eppure c’è un dato che parla più di tutti: i posti letto della sanità veneta sono poco più di 15 mila, mentre quelli delle case di riposo arrivano a 30 mila. Certo, i nostri sono ospiti stanziali, ma è chiaro che stiamo parlando di un numero molto importante».

In quale ambito avvertite maggiori carenze?

«Sicuramente sul fronte del personale e delle risorse umane. In questo periodo di emergenza c’è enorme bisogno di lavoratori, ma questi sono reclutati interamente dagli ospedali che hanno pure loro una forte esigenza. È un meccanismo che è sempre esistito: l’ospedale pubblico chiama e il personale, soprattutto quello più preparato, risponde senza pensarci due volte. Non possiamo competere, soprattutto dal punto di vista del trattamento economico».

Il peso di questa mobilità si sente anche in questi giorni?

«Abbiamo operatori sanitari e infermieri che entro trenta giorni ci saluteranno per un contratto in Usl. Questi saranno difficilmente rimpiazzati e ci lasceranno con carenze d’organico. Ma a che gioco giochiamo? La fragilità è di tutti, non solo della sanità pubblica».

Cosa propone?

«Sarebbe giusta una moratoria: fino a che continuerà questa emergenza, non è possibile “rubare” professionisti alle strutture».

La Regione denuncia la difficoltà nell’approvvigionamento di dispositivi di protezione individuale: le vostre strutture accusano la stessa problematica?

«Certo, d’altra parte mascherine e dispositivi non ci sono per nessuno, quindi tanto meno per noi. Lo ribadisco: non siamo figli di un dio minore. Anche perché se in una struttura per anziani si diffonde il virus, è chiaro che poi numerosi ammalati finiscono in ospedale, pesando nella gestione dei reparti degli ospedali. Non capisco davvero perché non si comprenda questo semplice ragionamento».

Vien da dire: a maggior ragione visto che in una casa di riposo gli ospiti sono praticamente tutti anziani, quindi più esposti al virus.

«Esattamente, è un cane che si mangia la coda. La facilità di trasmissione di un virus in un centro di questo genere è estremamente facile. Pensiamo a quanto può incidere la demenza, un disturbo molto presente tra la popolazione anziana: come può un anziano affetto da demenza capire che deve stare a un metro dagli altri, che non può toccare persone e oggetti, che deve avere un igiene impeccabile? Cosa dovremmo fare? Andare di sedativi per un mese? Ma stiamo scherzando? ».

Come state ovviando a tutti questi limiti?

«Potrà sembrare banale, ma l’umanità dà le risposte migliori in questo periodo. Ci sono dipendenti che non badano alle ore lavorate e sono sempre pronti a venire incontro a esigenze di turni e sostituzioni. Ho visto esempi commoventi. È chiaro che lo sforzo non potrà durare a lungo».

La Regione Veneto ha imposto di chiudere i centri diurni per anziani o i centri diurni per persone con disabilità che spesso sono presenti all’interno dei centri servizi, ma c’è anche da dire che moltissime strutture si sono imposte un’auto-quarantena ben prima dei decreti governativi o di quelli regionali. Questo, tuttavia, non è bastato a scongiurare scenari critici. (intervista di Nicola Cesaro)

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