Coronavirus Veneto. "Il mio papà e i suoi colleghi sconfiggeranno il virus". La fiaba a lieto fine di Matilde
La bimba, 4 anni, è figlia di Massimo, biotecnologo che lavora nel laboratorio dei tamponi. «Sono lì dall’inizio dell’emergenza, siamo una bellissima squadra: è questa l’eccellenza»

Albignasego
Chi può sconfiggere quel virus brutto e cattivo che la tiene prigioniera in casa come una sfortunata principessa chiusa nella torre, se non un cavaliere che si chiama papà?
Così Matilde Menegazzo, 4 anni, ha fornito a Massimo, biotecnologo in servizio all’Azienda ospedaliera di Padova, l’arma più potente: un disegno che lo ritrae di blu vestito mentre sconfigge un rosso coronavirus trafiggendolo con la spada. E, insieme, un lieto fine: il messaggio “Andrà tutto bene” che ha strappato a papà e ai suoi colleghi un sorriso e regalato una nuova carica per continuare quella maratona in laboratorio iniziata il 21 febbraio scorso.
Turni senza sosta, migliaia di tamponi da controllare ogni giorno e, dietro a ciascuno, una storia di vita che un esito positivo e negativo può cambiare. «Quel disegno», confessa papà, «ha stemperato fatica e tensione. Matilde me l’ha fatto trovare sul tavolo e poi, come un trofeo, l’ha appeso nella sua cameretta». A 4 anni è difficile accettare che papà torni tardi, ti abbracci un po’ meno, abbia poco tempo per giocare e non ti porti più dai nonni. Ma Massimo e la moglie Marica, che lavora in Comune a Padova, hanno trovato le parole giuste per spiegare quanto sta accadendo. Il virus è diventato una sorta di drago, papà un cavaliere, l’ospedale un castello che difende. Anche Melissa, la sorellina più piccola di 2 anni, ha capito tutto e, quando papà indossa il giubbotto rosso pesante – «perché», confessa l’interessato, «la stanchezza ti fa sentire di più il freddo» – sillaba comprensiva: «Lavoro».
Una missione per tutti
Massimo Menegazzo, 39 anni, laurea specialistica in biotecnologie mediche, specializzando in patologia e biochimica clinica, lavora nel reparto Infertilità dell’Azienda ospedaliera. «Lo scorso 21 febbraio», ricorda, «ho staccato alle 16 e ho sentito le prime notizie sul caso positivo al coronavirus riscontrato a Vo’». Non ci ha pensato troppo. «La mattina successiva», continua, «ho chiamato i responsabili del reparto di Microbiologia e mi sono messo a disposizione. “Se avete bisogno, io ci sono”. Mi hanno risposto: “Vieni”. Ho messo il camice e da allora sto lavorando con una squadra bellissima. L’eccellenza della sanità veneta è questa: indiscusse professionalità e grande passione. Non sono un eroe. Nessuno di noi si ritiene tale: facciamo il nostro lavoro adempiendo a una missione che abbiamo scelto e amiamo».
Perché insieme si può
Con lui, nella squadra capitanata dal virologo Andrea Crisanti, ci sono medici, tecnici di laboratorio, infermieri, impiegati, tirocinanti, operatori sociosanitari, addetti alle pulizie. «Ognuno porta il suo contributo ed è fondamentale», dice Massimo, «Devo ringraziarli tutti. Sono diventati parte della mia famiglia. Mi hanno insegnato molto: sia in termini di lavoro che di umanità». Nel laboratorio chiamato ad analizzare i tamponi non ci sono orari, non ci sono pause: si corre per la vita.
«E quando l’esito è positivo», ammette Menegazzo, «non è un semplice dato, pensi alla storia di vita che ci sta dietro. In Azienda ospedaliera stiamo dando il massimo e sono sicuro che davvero alla fine, grazie all’impegno di tutti, andrà tutto bene». Lui ha rinunciato alle visite ai genitori. «Ci si vede in videochiamata». Riesce a ricavarsi un po’ di ore per fare un plumcake alle carote con Matilde per la festa via Zoom con gli amichetti. Del resto se è un cavaliere deve avere il cuore gentile oltre che essere invincibile. Matilde e Melissa lo sanno, Marica fa del suo meglio perché sia così. E alla fine vivranno tutti “felici e contenti”, parola di bimba. —
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