Covid, variante indiana scoperta in Veneto: «Vaccini meno efficaci davanti alle mutazioni del virus»

VENEZIA. Non dovrebbe essere più letale, mentre sulla sua contagiosità e resistenza al vaccino non ci sono ancora notizie. Per questo la variante indiana, localizzata in Veneto per la prima volta, fa paura. I primi due casi certificati – padre e figlia di ritorno dall’India – sono stati individuati a pochi chilometri da Bassano, ma ora si attendono i risultati dei tamponi su due familiari conviventi. E si attende anche il responso definitivo su due italiani, residenti nel territorio dell’Usl 3 veneziana, su cui l’Istituto zooprofilattico delle Venezie ha avanzato dei dubbi: potrebbe trattarsi di mutazione indiana, come spiega la direttrice Antonia Ricci.
Direttrice, cos’avete scoperto?
«I primi due casi di variante indiana in Veneto. Sono stati individuati su due persone di rientro dall’India. Con un leggero raffreddore, sono risultati positivi al tampone, che abbiamo analizzato, individuando la mutazione indiana. Ora attendiamo i risultati relativi ai familiari. Potrebbero poi esserci altri due casi di variante indiana nell’Usl 3 veneziana, su due persone entrate in contatto con cittadini bengalesi».
Perché questo dubbio?
«Noi lavoriamo prima con un sequenziamento veloce, dove cerchiamo alcune mutazioni. E una di queste ci fa pensare che potrebbe essere variante indiana. Ma per la conferma attendiamo i risultati del sequenziamento completo, a breve».
Cosa sono le varianti e perché ci preoccupano tanto?
«Le varianti dei virus sono tantissime. Alcune presentano delle mutazioni in posizioni specifiche, che le rendono degne di preoccupazione e quindi vanno osservate. Come l’inglese, la brasiliana, la sudafricana e la nigeriana, che devono essere controllate sotto due particolari aspetti: la contagiosità e il minor funzionamento degli anticorpi. Questo non vuol dire che i vaccini diventano inefficaci, ma che la protezione anticorpale in alcuni casi non è completa».
Cosa sappiamo, a questo proposito, della variante indiana?
«Presenta delle mutazioni che potrebbero far pensare che gli anticorpi non la riconoscono completamente. Ma questo, provato con la variante brasiliana, non è ancora stato dimostrato con l’indiana, che è quindi da tenere sotto osservazione. È probabile che questa mutazione si comporti come quella brasiliana, verso la quale i vaccini sono un po’ meno efficaci. Ma la profilassi resta fondamentale. Quanto alla contagiosità, non ci sono sufficienti studi che ci dicano se si diffonda con più facilità».
I virus mutati, però, resistono tutti maggiormente al vaccino rispetto ai virus del “ceppo zero”. Del resto, il virus muta per sopravvivere…
«Proprio così. Rispetto al ceppo iniziale, la risposta anticorpale è inferiore per tutte le mutazioni. Ma l’indiana è una variante molto simile alle altre, non c’è motivo di preoccuparsene più che per la brasiliana».
E dobbiamo preoccuparci per la brasiliana?
«Gli anticorpi monoclonali e i vaccini funzionano meno ma, fortunatamente, questa mutazione non ha preso piede in Italia, dove ha preso il sopravvento l’inglese, caratterizzata da un’altissima contagiosità. Quanto sta avvenendo in Gran Bretagna, comunque, ci dimostra che la vaccinazione funziona. Io guardo il bicchiere mezzo pieno. Il sistema di sorveglianza sta individuando le varianti, consentendo immediatamente di attivare le misure di tracciamento».
Dall’India arrivano immagini allarmanti…
«Non perché questa variante sia più letale delle altre. Purtroppo la situazione dell’India, come quella del Brasile, è legata alle condizioni socio-economiche e sanitarie molto fragili del Paese». —
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