Crisi, fusioni, sostenibilità lo Sportsystem si trasforma
TREVISO
«Ci stiamo provando», dice Paolo Bordin, «perché in due è meglio che da soli». Per raccontare cosa sta succedendo nel distretto montebellunese dello Sportsystem (calzature, attrezzature, abbigliamento sportivo) partiamo da qui, prima che dai numeri. Perché quello dell’amministratore delegato della Aku, marchio di punta nelle calzature da montagna, è un progetto che potrebbe diventare un paradigma: fondersi con uno dei concorrenti «per sfruttare sinergie produttive e distributive». Un po’ come Stellantis tra Fiat e Peugeot? Bordin sorride alla disparità dimensionale del paragone, ma ammette che l’idea è quella. Già partecipata al 50% dal 2009 da un socio canadese, Genfoot Inc, ora Aku tenta questa scalata in coppia (ma non dice con chi) ai mercati. È l’unico modo per sopravvivere, tra Scilla e Cariddi di globalizzazione e pandemia?
Export in calo del 16% nei primi nove mesi del 2020, con vendite all’estero scese sotto il miliardo di euro: l’anno della pandemia lascia morsi profondi sul distretto. Un calo generalizzato, che ha visto bruciare 132 milioni per le calzature e 38 milioni per gli articoli sportivi. C’è chi sta peggio, a guardare per esempio il distretto delle calzature del Brenta, che viaggia su cali vicini al 25%. I dati sono della direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo. Nel 2018 il giro d’affari complessivo del distretto montebellunese aveva toccato i 2,83 miliardi di euro, in crescita dai 2,76 dell’anno precedente. In totale sono 571 le imprese attive, la maggior parte nella produzione di calzature (213), seguite da studi di design (132) e produttori di componenti. Gli addetti complessivi sono 6.373: una persona su tre a Montebelluna lavora nella filiera del distretto.
«Il calo è una media tra chi ha sofferto di più, per esempio chi è legato allo sci e ha visto saltare la stagione, e chi invece è riuscito anche a crescere, nell’outdoor», dice Patrizio Bof, presidente dell’Associazione dello Sportsystem. «Chi rimane coi magazzini pieni ha poi impatti dal punto di vista occupazionale, inevitabili, con un ricorso quasi totale alla cassa integrazione, unica arma per resistere. I negozianti confidano nei ristori, ma ci vorrebbe anche l’obbligatorietà di pagare i fornitori. Altrimenti per le nostre aziende la crisi finanziaria è dietro l’angolo».
Piccoli e poco patrimonializzati, seppur con marchi forti: una condizione diffusa, e la pandemia ne ha scoperchiato le criticità. Dietro ai nomi dei big, da Geox a Tecnica passando per Rossignol Lange, Fischer, Dalbello, Scarpa, Grisport, ci sono aziende più piccole che devono trovare appigli stabili. È la terra orfana di Veneto Banca, anche se Intesa cerca di rimettere assieme i pezzi (a giorni sarà annunciato un piano di finanziamenti dedicato). È dei giorni scorsi l’accordo tra Garmont, altro marchio di punta nel trekking (20 milioni di fatturato), e Riello Investimenti: il fondo veronese ha rilevato il 65% delle quote dell’azienda di Vedelago. «Unione finalizzata a crescere tramite nuovi accordi commerciali e acquisizioni», dice il presidente Pierangelo Bressan. Per Bof si tratta di «un modello che può essere replicabile, molto interessante». E c’è chi guarda oltre, tornando a Paolo Bordin e la sua Aku: fatturato 2020 a 22 milioni in leggero calo (-4%), quota export che supera l’80%, oltre al socio canadese («perché avere una massa maggiore è utile»), ora cerca di perfezionare questo «progetto di sinergia con un concorrente diretto, perché in due è meglio che da soli». Sembra un’eresia, in un distretto dal campanilismo spinto, ma è un segno di cambiamento storico. «La mentalità piccina, più che piccola, è stata il male peggiore», dice Aldo Durante, memoria storica, «ha fatto perdere molte occasioni di aggregazione».
Ha ancora un futuro un distretto a forte specializzazione, a fronte di numeri che mostrano come la sola Geox pesi per circa il 40% del fatturato complessivo? Sì, ce l’ha, dice Bof, «aumentando la diversificazione della produzione, penso per esempio alle sneakers d’alta gamma in cui ci sono nomi come Gucci e Chanel. Prodotti di alta qualità e sostenibilità, questo è il futuro», preconizza Bof. Nella parentesi della corsa alla delocalizzazione, molti si sono scottati con una qualità di produzione non adeguata e tempi di risposta al mercato troppo dilatati. Come sarà tra vent’anni? Alla domanda Bordin risponde che «aziende come la nostra potranno stare sul mercato perché controllano tutta la filiera da vicino, noi produciamo il 15% circa, top di gamma, a Montebelluna (fa lo stesso Diadora a Caerano, ndr), il resto tra Serbia e Romania. E perché hanno la sostenibilità nel dna, il mercato oggi lo pretende». E gli esempi sono molti, da Tecnica che progetta gli scarponi da sci pensando già al riciclo fino a Scarpa che utilizza bio-plastiche dalla pianta di ricino. E il futuro è anche nelle nuove professionalità, anzi, in quelle vecchie con strumenti nuovi: giovedì, ad esempio, l’Accademia creativi del distretto organizza un webinar sulla stampa 3D nella prototipazione. Il domani è sempre passato di qua.—
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