Da Lampedusa forza fresca per lo spaccio

Solo a Padova ieri ne sono arrivati 10, ed è così dall'inizio della «rivoluzione» tunisina
Al bar kebab di Borgomagno, periferia di Padova In due mostrano il ticket di auto-identificazione
Al bar kebab di Borgomagno, periferia di Padova In due mostrano il ticket di auto-identificazione
 
PADOVA.
Tutti tunisini, giovani maschi e in salute, bisognosi di mangiare e di divertirsi, ragionevolmente anche di riprodursi.
Chez Italie
si può. L'appetito non gli manca,
merci Italie, vive Italie
quindi. Perché un kebab tira l'altro, un clandestino invita il fratello e questo chiama un terzo, così che ci troviamo qui al baretto di Borgomagno in zona Arcella a dare un party di mezzanotte in onore dell'immigrazione lampedusana, quella speciale del dopo Bel Alì.
 Quella che, chissà perché, immaginiamo diversa dalle altre. Noi impegnati a fare i brokers con le «comande», loro a dimostrare notevole autodisciplina nel dirigere il traffico degli affamati. Quindici kebab appaltati e divorati in 15 minuti con appena qualche problema di precedenza gli ultimi che protestavano perché chiedevano lo stesso trattamento dei primi, a controllare chi aveva avuto di più e richiederlo nel caso, qualcuno che preferiva la Redbull al posto della Coca, tutti comunque e indistintamente a godere della nostra falsa generosità. Basta, l'argent est fini ha gridato il benefattore (chi scrive si vergognava non perché aveva finito i soldi, ma perché ci ha dato dentro senza ritegno in una carità farisea, da imbroglione, il prezzo per le loro confidenze che tanto paga il giornale), allora abbiamo mostrato il portafoglio vuoto, chiuso le contrattazioni e riportato l'ordine dei sazi. Dopo di che ci siano seduti a ragionare.  Bene, è andata bene, nessuno si è lamentato. Ma non li si chiami più «dis-perati», questi sono tutt'altro che disperati, al contrario sono dotati di molta ma molta speranza, la più irragionevole e mal riposta, nata nei loro pomeriggi di giovani sfaccendati passati i nei bar di Tunisi e di Sfax, ingigantita guardando la televisione italiana, corroborata dal racconto di qualche fortunato e ora confermata da noi che offriamo kebab a sbafo. Per questo è anche la più effimera.  Tra loro c'è chi è appena arrivato, chi è a Padova da tre giorni, chi da un mese. La speranza la vedi coagularsi nelle loro facce, rapprendersi e ogni giorno farsi più tetra: così gli ultimi arrivati ne hanno di più e i «veterani» di meno, nella stessa maniera crescono i casi di coscienza.  «Dimmi come si fa - dice uno senza farsi sentire - voglio tornare a casa prima che mi arrestino, tra il vostro inferno e il mio è meglio il mio, dimmi cosa posso fare».  C'è anche un minorenne tra loro, Bel Rezek, il più indifeso e fragile a cui la delusione farà più male. Per questo gli vogliono bene e cercano di proteggerlo. Si informano cosa gli fanno se va in questura, spiego che andrà ospite in qualche comunità, ripetono che non ha documenti, solo quel pezzettino di carta rosso che in tasca hanno tutti con nome cognome e data di ingresso, una specie di ticket per imballaggi ritirato a Lampedusa e che è anche la loro unica possibilità di avere il «permesso provvisorio». Non sanno che dal primo gennaio e per sei mesi possono averlo, o forse lo sanno ma non si fidano, per cui pongono la stessa domanda due, tre volte, poi incrociano le risposte e confrontano. «Il ragazzino è andato in questura l'altro giorno - spiega l'adulto più scafato - ha detto ai poliziotti che aveva 17 anni ma l'hanno buttato fuori».  Ecco, c'è chi è stato buttato fuori, c'è Jamel che da Padova voleva andare a Nizza e che è stato beccato sul treno a Verona, messo a terra e portato in questura pur con regolare biglietto pagato di 120 euro - «i poliziotti mi hanno strappato il documento di indentità» (il ticket, ndr) - c'è chi mostra una caviglia gonfia «per la pedata di un poliziotto», chi lamenta soprusi e violenze, il ragazzino che parla solo arabo si fa tradurre: «Ho il diploma di saldatore, me lo posso far spedire per fax». Bel Rezek ha gli occhi puliti non ancora offuscati dalla vergogna, dice cosa fa a casa, lo vorrebbe fare anche da noi e mi ricorda lo stesso ragazzino mostrato in tv qualche giorno fa che, come lui vuol fare il fabbro quello voleva fare il barbiere, è avevano lo stesso sguardo colmo di speranza di chi ti è già riconoscente.  Non è questo il posto giusto per trovare lavoro in un'officina. Non dal kebabbaro di zona Borgomagno, e non è questo nemmeno il posto dove si raccontano le favole che vorremmo ascoltare: la vita dell'inurbato clandestino a Padova è molto più semplice e dura. Ce la faranno, da autorizzati provvisori diventeranno stranieri stabili, ma non li troveremo dal barbiere o dallo stagnaro. Gli occhi più stagionati tra i loro lo dicono, gente col pelo sullo stomaco, che qua c'era già e che fa l'accoglienza.  Come non vedere che hanno tutti la bicicletta, che nessuno manca di telefonino, che prima, quando siamo arrivati davanti al kebabbaro e abbiamo parlato con il primo dei più furbi, c'erano due belle Bmw in attesa con gli italiani che aspettavano la consegna. C'è lavoro a Padova, lavoro da pusher, i posti si liberano per naturale turnover (vanno in galera ogni tanto), quindi vanno progressivamente rimpiazzati con facce nuove. Padova poi non era sulla strada per Parigi, chi è sceso a Padova probabilmente ci resterà.  Di questi col bollo di origine lampedusano ne stanno arrivando 8-10 al giorno, prima accoglienza in sede, avviamento al «lavoro» subito dopo. Dormono ai giardini, nella case diroccate della periferia. Quel ragazzino, Bel, presto si romperà. Noi saremo più cattivi. E non c'è perdono né politica dell'immigrazione per il male che faremo e che ci stiamo facendo.

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