Dante, Shakespeare e l’impossibile paragone tedesco tra due geni imparagonabili

La rivista tedesca “Frankfurter Rundschau” (“Rundschau” vuol dire “rassegna”) sminuisce Dante, e quindi umilia il nostro orgoglio letterario nazionale, attraverso un confronto Dante-Shakespeare, tutto a favore di Shakespeare. Il nostro ministro Franceschini risponde usando un verso sprezzante di Dante: “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”. Ma sbaglia.
Sbaglia perché quel giudizio (che non è il rozzo: “Shakespeare è grande, Dante no”, ma è un discutibile “Shakespeare è universale, Dante è cattolico”) è assai diffuso. Quanto alla grandezza, Dante non è propriamente grande. È qualcosa di più: è grandioso.
Uno che si trova cacciato in esilio, ramingo da un nobile palazzo all’altro, in cerca di ospitalità, un letto e un po’ di cibo, perché non ha un fiorino, non ha un amico, non può rivedere la famiglia, non ha un lavoro, può soltanto chiedere la carità e l’ospitalità, e tuttavia quest’uomo si propone un compito che sembra uscito dalla mente di un pazzo: “Voglio raccontare in versi tutto il bene e tutto il male commessi dall’umanità in tutte le epoche, e tutti i premi ricevuti dai buoni e tutte le punizioni ricevute dai cattivi per tutta l’eternità, nell’Inferno e nel Paradiso”, beh, quest’uomo non ha un disegno grande, ha un disegno grandioso.
Se lo conosci in partenza, quando viene abbozzato, questo disegno, pensi che è una follia, non diventerà mai realtà. Il progetto di Dante era così immenso da far sembrare logico che la vita non gli sarebbe bastata, non poteva bastargli.
Una normale vita umana, normalmente sana e normalmente lunga, non era sufficiente. E infatti Dante morì subito dopo terminato il “Paradiso”, senza avere il tempo non dico di rileggerlo (ci sono delle incongruenze), ma almeno di consegnare il manoscritto a qualche amico di fiducia.
È vero, come dice la rivista tedesca, che l’intero poema è un continuo giudizio morale sull’umanità, Dante si pone continuamente il problema di cosa è bene e cosa è male, ma non giudica secondo una morale di parte, neanche cattolica, giudica secondo una morale inter-umana, per cui anche un Papa può finire all’Inferno, calato in un pozzo di fuoco, a testa in giù e gambe in su: e anzi il Papa a cui Dante fa fare questa fine è proprio quello in carica in quel momento.
Il critico tedesco dice che tutta la Divina Commedia è solo per “permettere al poeta di anticipare il Giudizio Universale, di fare il lavoro di Dio”. È vero. Ma tutto questo non è non-grande, privo di grandezza, è grandioso, cioè dotato di una grandezza super-umana.
Il ragionamento del critico tedesco che scrive sulla “Frankfurter Rundschau” poggia su un errore: che i poeti siano paragonabili, e ci siano i più grandi e i meno grandi. Non è così.
Non si può fare un confronto tra imparagonabili, la grandezza di uno non impedisce e non sminuisce la grandezza di un altro. Può succedere che la grandezza di un poeta non sia sentita da un critico esterno alla lingua e alla cultura di quel poeta. Ma invece di pronunciare un giudizio avventato e insostenibile, quel critico ha un’altra scelta: stare zitto. —
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