Disoccupato e depresso, operaio si spara a Zanè

Fino a settembre lavorava in un'azienda metalmeccanica. Franca Porto (Cisl): «Davanti a queste tragedie ci vuole molto rispetto. Il lavoro è un pezzo insostituibile della vita nostra vita»

VICENZA. Come un’infezione terribile che colpisce i più deboli - soggetti psicologicamente meno difesi e senza lavoro, o schiacciati dai debiti - la voglia di farla finita nell’epoca della crisi ha fatto un’altra vittima in Veneto. Un uomo di 45 anni, disoccupato da quattro mesi, si è tolto la vita a Zanè, sparandosi alla testa con una vecchia pistola.

L’azienda metalmeccanica dove lavorava fino al settembre scorso aveva ridotto il personale a causa della crisi, lasciando a casa lui e altri dipendenti. L’uomo, che abitava con la madre di 84 anni, non viveva una condizione disperata dal punto economico. Per madre e figlio i soldi per tirare avanti c’erano. Ma il tarlo della depressione, che lo aveva aggredito da anni, è peggiorato dopo la perdita del lavoro. Non è insomma una vittima "diretta" della crisi, hanno spiegato i carabinieri che si sono occupati del caso. Ma disagio psicologico e disoccupazione hanno probabilmente creato un mix di sofferenza a cui il quarantacinquenne operaio ha deciso di porre fine.

È stata la madre a scoprire il cadavere del figlio in camera e ad avvisare subito dopo il 112. In casa non è stato trovato alcuno scritto che spieghi il gesto estremo. Per suicidarsi l’uomo ha usato un revolver, che è quasi un residuato bellico. L’arma era detenuta illegalmente.

Il sindaco di Zanè, Alberto Busin, non sa darsi una spiegazione: «Io e lui eravamo sufficientemente intimi da dirci certe cose. L’ho visto al bar solo dieci giorni fa, abbiamo preso il caffè. Problemi economici? Ma non direi. Io non sapevo nemmeno che avesse perso il lavoro. So che di tanto in tanto si faceva qualche viaggio».

Questo di Zanè è l’ultimo episodio di una catena di suicidi che nel periodo della crisi ha interessato non solo il Veneto. Il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi solo pochi giorni fa ha stimato che nel Nordest finora siano stati una cinquantina i suicidi di imprenditori a capo di aziende in forte difficoltà nel riscuotere i crediti. Talvolta si tratta di casi border-line: come quello del benzinaio impiccatosi ieri a Montebelluna, o del titolare dell’impresa di pitture edili di Campodarsego - uccisosi, sempre con una corda, dopo Natale - nei quali è impossibile capire se il disagio economico abbia potuto più di quello psicologico. Altre volte ci si è trovati davanti a vicende conclamate: quella dell’impresario edile di Vigonza, Giovanni Schiavon, suicidatosi perché vantava 200 mila euro di crediti dagli enti pubblici; l’altra di un suo collega di Borgoricco, che si è tolto la vita il 18 novembre, perché non sopportava più «i gravi problemi economici» che assillavano l’azienda.

Non solo il Veneto, come detto. La «paura del 2012» ha fatto due vittime anche in Sicilia e nelle Marche. A Catania il contitolare di una concessionaria di moto attiva da oltre trent'anni, Roberto Manganaro, non ha retto allo stress dell’arrivo del nuovo anno, carico di incertezze emotive ed economiche. Il 2 gennaio si è impiccato dopo aver ingerito una forte dose di barbiturici. Lo stesso giorno, a Montefiore dell’Aso, nelle Marche, ha preso la stessa decisione un agricoltore di 54 anni che, pur senza forti problemi economici, era parso ultimamente ai familiari come ossessionato dalla crisi e dal timore di non superare le difficoltà del nuovo anno.

«Ci vuole molto rispetto davanti a queste tragedie», ha detto il segretario veneto della Cisl, Franca Porto, commentando la vicenda dell’opario di Zanè. «Non bisogna farne un "fenomeno". Però il lavoro è un pezzo insostituibile nella vita della gente, e l’incertezza del lavoro diventa motivo di ulteriore instabilità, mette in crisi le persone nella loro dignità».

Argomenti:crisi

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova