Don Tomasi nuovo vescovo di Treviso Il Papa conquistato dalla sua cultura

treviso. A spiegare il vero senso della nomina di don Michele Tomasi a vescovo di Treviso, alla giovane età di 54 anni, è chi lo conosce molto bene, l’arcivescovo di Trento Lauro Tisi. «Papa Francesco ha visto bene: nel nuovo vescovo Tomasi si fondono una preparazione culturale non comune, una ricca esperienza pastorale in mezzo al popolo di Dio – con un’attenzione particolare a chi è più fragile e vulnerabile – e una particolare sensibilità verso il clero».
Dunque, è Papa Francesco ad aver voluto Tomasi sulla cattedra di San Liberale, così come ha scelto Tisi per quella di Trento, Marangoni per Belluno, Cipolla per Padova. Quella stretta di mano tra Tomasi e Bergoglio in Piazza San Pietro, durante un recente incontro, e quei sorrisi d’intesa che i due si sono scambiati, lasciano intendere che il mandato per il nuovo vescovo è chiaro. Il “bocconiano” Tomasi non farà sicuramente da “ceo” della Chiesa in Treviso; non si limiterà a fare l’amministratore. Percorrerà le sue strade con lo stesso spirito con cui ha interpretato, dopo la laurea in economia alla Bocconi, il servizio civile a “La Strada”, una delle comunità d’avanguardia a Nordest nel riscatto degli ultimi tra gli ultimi.
Nato il 9 luglio 1965 a Bolzano, terzo di tre fratelli, Michele Tomasi ha studiato prima nel capoluogo del Sud-Tirolo, poi a Udine, dove si era trasferito il padre, nel periodo delle scuole medie. Dopo la maturità classica ha frequentato l’università Bocconi di Milano e si è laureato in Discipline economiche e sociali. Figlio di padre italiano e di madre di lingua tedesca, Tomasi è perfettamente bilingue. Dopo la laurea, ha fatto un anno di servizio civile, è stato insomma obiettore di coscienza, e solo successivamente è entrato in seminario. È stato ordinato sacerdote il 28 giugno 1998, a Bressanone. Dopo 8 anni di parrocchia a Merano, ne ha fatti altri 4 a Vipiteno, quindi dall’altra parte della provincia. In questo periodo ha anche frequentato gli studi di dottorato all’università di Innsbruck, sempre in dottrina sociale. Assistente spirituale delle Acli, è stato anche consulente degli imprenditori cristiani dell’Ucid. Tra il 2010 e il 2016 è stato rettore del seminario maggiore a Bressanone, per alcuni anni con un solo seminarista, e responsabile diocesano della pastorale vocazionale. Già vicario generale di lingua italiana, dal 2016 era vicario episcopale per il clero. Dal 2000 è docente di Dottrina sociale presso lo Studio teologico accademico di Bressanone. Proprio l’anno scorso ha assunto l’assistenza spirituale de “La Strada”. «Mi accompagna – racconta di sé – una costante nei tre luoghi in cui ho vissuto dopo l’ordinazione presbiterale; a Merano la Chiesa di Santo Spirito, la Spitalkirche, a Vipiteno la Chiesa sempre di Santo Spirito in cui celebra particolarmente la comunità di lingua italiana e a Bressanone il Seminario maggiore, già ospizio ed ospedale “in Insula Sanctae Crucis”.
Tutti e tre hanno un passato di ospizio e di ospedale, di rifugio accogliente per i pellegrini, di cura per i poveri, di assistenza per i malati. Questa apparente coincidenza mi richiama ad una vocazione e mi richiede un’obbedienza. La vocazione – continua don Michele– è quella dell’accoglienza di chi è in cammino, fisicamente e spiritualmente: di chi vuole seguire il Signore nella via del sacerdozio e che in Seminario desideri crescere e lasciarsi accompagnare; di chi voglia fermarsi anche solo un poco per riscoprire il senso della propria vocazione battesimale; di chi sia anche solo di passaggio e voglia sostare un poco. L’obbedienza è ai piccoli e ai poveri, amici particolari di Gesù, nei quali egli ci visita e ci interpella».
Interrogandosi sulla sensibilità moderna, don Tomasi ha avuto modo di dire che «personalmente sono grato di potermi vivere come un non necessario che è stato donato: non c’è scritto da nessuna parte che io debba esserci, guardo con stupore il fatto che ci sono e ringrazio». E, a riguardo della relazione tra le persone, si è chiesto: «homo homini lupus, con tutto il rispetto per i lupi, perché spesso siamo molto peggio di loro, oppure siamo delle persone che si guardano negli occhi e trovano un appello in quello sguardo che dice, come prima cosa, non uccidermi? » .
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