Fondazione Nordest, imparare dagli errori

Auro Palomba interviene nel dibattito aperto sul nostro giornale dall'articolo di Giancarlo Corò
Auro Palomba
Auro Palomba

Ho letto con rammarico l'analisi di Giancarlo Corò sulla crisi della Fondazione Nordest.

L'autore fa una fotografia delle lodevoli motivazioni che furono alla base della creazione dell'istituto di ricerca e la confronta con il vuoto attuale. A mio parere manca tuttavia una disamina sulle cause che l'hanno generato, ovvero su quello che è successo nel frattempo. E qui sta il motivo del mio rammarico.

La verità è che il destino della FNE è stato causato da scelte consapevoli, non dal caso. E il tutto è avvenuto nel silenzio generale della comunità scientifica e imprenditoriale. La politica c'entrava poco, allora. Quindi, se Corò oggi invoca il coraggio, arriva con quattro anni di ritardo: dovrebbe infatti ritornare all'autunno del 2013, quando la passata presidenza di Confindustria Veneto decise di decapitare la fondazione, non rinnovando l'incarico a Daniele Marini, il direttore scientifico che l'aveva guidata con successo per oltre un decennio, facendo crescere il fatturato oltre i 700 mila euro.

Le ragioni allora furono risibili (troppa visibilità personale fino all'eccessiva "trevigianità" della Fondazione) ma in realtà nascondevano solo il fastidio di avere un centro studi autorevole e indipendente, la cui credibilità gli permetteva di non accettare supinamente la linea imposta da una parte della proprietà. Ricordo, con amarezza, che pur fra molti mal di pancia, l'unico a prendere le distanze fra quelli coinvolti fui io (e tu lo sai bene perché abbiamo condiviso il mio malessere). Non appena intuii quello che avevano intenzione di fare, rassegnai le dimissioni da responsabile alla comunicazione del centro studi, carica che ricoprivo "pro bono" da 10 anni perché credevo nell'utilità del progetto, in una regione in cui si è sempre pensato molto al "fare" e poco all'investire in ricerca.

Allora scrissi chiaramente che non condividevo né il metodo né l'obiettivo, e che quella scelta sconsiderata avrebbe segnato la fine della FNE. Bada bene, non per la scelta del successore, che è uno stimato professore, ma per le motivazioni irragionevoli alla base del cambiamento. Fui, purtroppo, facile profeta: in seguito all'immotivata cacciata di Marini, molti soci e sponsor si sfilarono. La FNE perse la sua centralità, fino al vuoto che ha trovato in eredità il nuovo presidente di Confindustria Veneto, Matteo Zoppas, quando è stato nominato sei mesi fa. Gentile direttore, dal 2013 mi ero ripromesso di astrarmi da questa triste e prevedibile vicenda e così ho fatto e continuerò a fare. Ma un commento credo sia dovuto. Chiunque abbia una minima competenza di comunicazione o di marketing sa che ricostruire ciò che è stato distrutto è molto più difficile che crearlo ex novo. Occorrerebbe che tutti gli stakeholder lavorassero insieme per una soluzione comune, in particolare in una fase congiunturale complessa come quella attuale. Ma per farlo, bisogna imparare dagli errori del passato e non rimuoverli. Soprattutto bisognerebbe che chi ha causato il problema fosse chiamato a risponderne, dando così anche credibilità alle richieste analoghe che troppe volte gli imprenditori fanno, inascoltati, alla politica. Altrimenti l'esercizio rimarrà sterile e improduttivo e si capirà ben presto che il destino della Fondazione Nordest non si sta scrivendo ora, ma è stato segnato, ahimè, quattro anni fa. Founder & Ceo Community Group

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