Fusione, Bpvi e Veneto Banca in Bce

PADOVA. Settimana decisiva, quella che si apre, per Veneto Banca e Popolare di Vicenza, controllate dal fondo Atlante. Domani si riuniranno i board dei due istituti per fare il punto sullo schema del progetto di fusione e sulle necessità di cassa, mentre mercoledì il management di Vicenza e quello di Montebelluna voleranno a Francoforte per fare il punto con la vigilanza europea, che segue da vicino il piano di risanamento. Sarà questa la tappa decisiva: prima di avviare il processo di fusione, indicato come unica opzione per evitare il fallimento, ci vuole il disco verde della Bce che attende risposte precise sulla mole di sofferenze e il piano di ricoperture per riportare l’Npl ratio a livelli accettabili.Una delle ipotesi più probabile è lo scorporo di 9 miliardi di euro di sofferenze lorde dalle due ex popolari.
Questi scenari si intersecano nel risiko del riassetto e l’orizzonte si allarga verso Trieste: come nel gioco del domino, la battaglia su Generali promette di far cadere altre tessere nel complicato sistema. Se il mirino di Intesa Sanpaolo è puntato verso l’asset management del Leone, business che assorbe poco capitale e garantisce (stanti i tassi bassi) elevati margini, c’è da attendersi che anche altri player si muovano sul terreno del consolidamento. Nelle scorse settimane Pioneer, messa in vendita da Unicredit, è finita ai francesi di Amundi, dopo essere stata a lungo corteggiata dal duo Anima-Poste Italiane. Così quest’ultima ora cerca strade alternative, a cominciare da Arca, sgr che gestisce asset per 30 miliardi di euro e il cui capitale è per il 40% in mano alla Popolare di Vicenza e a Veneto Banca. La controllante Atlante difficilmente si opporrebbe a una dismissione in grado di portare fieno in cascina. Stando ai rumors di mercato, che valorizzano Arca intorno agli 800 milioni di euro, per il fondo di Alessandro Penati c’è la prospettiva di incassare oltre 300 milioni.
Soldi che potrebbero essere riversati nell’aumento di capitale necessario per i due istituti dopo che sarà completata la fusione. Alla luce delle nuove svalutazioni attese sul fronte dei crediti, infatti, la necessità di rafforzamento patrimoniale è attesa intorno ai 2,5 miliardi (ipotizzando lo scorporo dei 9 miliardi di sofferenze lorde in capo alle due ex popolari), con lo Stato pronto a intervenire per la quota che non troverà investitori. Dei 20 miliardi a disposizione, circa un terzo verrà riservato al salvataggio di Mps, per cui le risorse a disposizione non mancano.
Ma l’ingresso del soggetto pubblico si porterebbe dietro forti penalizzazioni per i detentori di bond subordinati, sulla scia di quanto sta accadendo a Mps. Dunque si tratta di un’extrema ratio, da attivare solo nella misura in cui falliranno le iniziative di mercato. Anche se francamente appare difficile immaginare investitori disposti a mettere sul piatto somme importanti per acquisire asset bancari.
A Veneto Banca aveva fatto un pensierino un anno fa Bper, come ha ricordato ieri l’ad Alessandro Vandelli, ma poi l’istituto emiliano ha preferito non imbarcarsi in una partita che già allora appariva complessa.
Intanto a giorni arriverà la garanzia di Stato sui bond delle due popolari per ottenere liquidità, come ha già fatto Mps. Questo, combinato al rallentamento nei deflussi registrato nelle ultime settimane (segno di fiducia nel nuovo management), promette di riportare serenità per i due istituti.
Ultimo capitolo a Roma: prosegue il cammino parlamentare del Dl “salva-risparmio”. Il testo arriverà all’esame del Senato il 2 febbraio, dopo il voto sugli emendamenti da domani a mercoledì in commissione Finanze del Senato.
Luigi Dell’Olio
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