Gabriele Del Torchio, il manager che sfreccia in sella a una Ducati
Parla l'a.d. Del Torchio. Aps: «Mi è rimasto un rammarico». Carraro Spa: «Grandi professionisti». Motomondiale: «Possiamo farcela»

PADOVA.
Dottor Del Torchio, il suo arrivo in Ducati è stato salutato prima da un forte rialzo del titolo in Borsa e poi, grazie a Stoner, dalla prospettiva di rivedere una marca italiana al vertice del motomondiale.
«La correzione dei mercati della settimana scorsa ha sgonfiato per fortuna un po' il titolo che in effetti la Borsa valorizza molto bene ora. Comunque la vittoria di Stoner a Brno è importantissima. Vincesse il titolo, sarebbe la prima volta per una casa italiana dopo 36 anni di dominio delle giapponesi nella categoria regina del motomondiale. L'ultima fu la Mv Agusta di Giacomo Agostini. Incrociamo le dita, ma il nostro Stoner dovrebbe farcela davvero».
Insomma, Del Torchio, lei approda alla Ducati nella stagione migliore. Come re Mida, dice qualcuno, lei trasforma in oro ciò che tocca. Solo fortuna?
«Ma no. Ducati esce in effetti da un paio di annate difficili sotto il profilo dei bilanci, con il 2005 e il 2006 chiusi in perdita. Ma il mercato, come sempre, ha anticipato il turn-around dell'azienda dopo l'uscita dal capitale di Texas Pacific group, il fondo americano che controllava Ducati e l'ingresso come azionista di riferimento del fondo Invest industrial che fa capo alla famiglia Bonomi. Già il 2007 segnerà un deciso miglioramento e la semestrale lo ha bene anticipato con un rialzo del 40% del fatturato, pari a 235 milioni di euro e con l'azzeramento dell'indebitamento dopo l'iniezione di liquidità apportata dai nuovi azionisti».
Perché due annate difficili in Ducati, cosa è mancato?
«A mio avviso l'azienda non ha mostrato un'adeguata dinamicità nello sviluppo di nuovi prodotti. Le avvisaglie di un periodo difficile c'erano già nel 2004, ma le premesse per risorgere ci sono tutte e le vittorie nel G.P. sono essenziali per trasferire le soluzioni tecnologiche innovative adottate nel settore corse al mercato».
Quali sono le novità che introdurrà il suo nuovo piano industriale?
«Il piano sarà presentato agli analisti entro novembre e sarà ispirato ad una precisa filosofia: l'eccellenza sportiva e l'eccellenza nella produzione. Il piano farà leva sull'immagine radicata di Ducati, che mantiene un grande fascino nel mondo, e sulle sue potenzialità di sviluppo. Intanto il 2007 vede il lancio di due nuovi prodotti: la 1098, erede della mitica 999 per la quale abbiamo già 10.000 ordini e ad ottobre lanceremo la Desmosedici, replica della moto G.P.. Questo sarà un pezzo da collezionisti, prodotto solo in 1.200 esemplari venduti a 60 mila euro ciascuno».
Bella cifra, per una moto...
«Sì, ma il nostro è un prodotto interamente made in Italy, tutti i componenti sono realizzati direttamente in Italia. Gli Stati Uniti, dove vendiamo più che in Italia, hanno già fatto il pieno di ordini di questa moto. Il nostro, ricordi, non è un prodotto di massa, operiamo in un altro segmento di mercato e chi compra Ducati chiede elevata sicurezza e qualità».
Lei è uomo di finanza, prevalentemente, come riesce a muoversi con tanta dimestichezza passando dagli ingranaggi per trattori, agli yacht e ora alle moto?
«In effetti sono vicino al mondo della finanza. I gestori dei fondi di private equity mi chiamano in momenti particolari della vita aziendale, nelle fasi di turn-around. In Ferretti ero arrivato perché c'era l' obiettivo di portare il titolo in Borsa dopo il rilancio della società: avevamo preparato tutto per la quotazione, poi la proprietà ha preferito vendere a un fondo. In Aps, lo stesso, avevo individuato un percorso preciso per ridare efficienza ad una società pubblica, anche nei confronti della clientela, premessa per poi affacciarsi al mercato, ma l'azionista decise di seguire un'altra strada. Certo, nelle aziende dove sono stato, io non mi sono occupato certo di questioni tecniche che vengono delegate, come nel caso di Ducati, ad un team di 100 ingegneri per la squadra corse e a 130 per la progettazione su 1.050 dipendenti che abbiamo, con età media inferiore ai 30 anni. Ma ho cercato di formare un gruppo di uomini, una squadra idonea per raggiungere gli obiettivi che ogni azienda si pone».
Solitamente gli a.d. chiamati dai fondi di private equity per ristrutturare un'azienda hanno fama di tagliatori di teste. Per prima cosa licenziano e poi, in tempi brevi, devono riportare in utile l'impresa: questo chiede l'azionista. Nel suo caso?
«Tagliare è più facile, ben più difficile è costruire qualcosa sulle opportunità offerte dall'esistente. Io non sono affatto un tagliatore di teste, per me la stabilità del posto di lavoro è un valore, come lo è però la capacità di ognuno di sapersi misurare con situazioni diverse. Rare sono le modifiche sostanziali da introdurre in un'azienda. Il mio compito è piuttosto quello di organizzare, è quello di riuscire a creare una squadra, di trovare gli uomini giusti per definire un percorso, per scovare forti opportunità di sviluppo e raggiungere gli obiettivi fissati».
Soldi a parte, cosa ha pesato di più nella sua decisione di approdare in Ducati?
«Il fascino del marchio, la grande tradizione della Ducati. Io amo le moto, le uso, il fascino Ducati, lo ammetto è stato forte. Lo si coglie anche dalla partecipazione dei fans ai dibattiti nel nostro sito, dall'attenzione con cui seguono la vita in azienda. Pensi che abbiamo 350 club Ducati nel mondo, solo Harley Davidson ispira emozioni analoghe».
In questo momento poi, saranno alle stelle i fan di Stoner...
«Guardi, a giugno, abbiamo organizzato a Misano la “wdw”, la week Ducati world, quattro giorni di incontri con gli amici Ducati, 60 mila presenze: non ci credevo. Ho avuto la soddisfazione di regalare e consegnare personalmente alla grande cantante Patty Smith il nostro giaccone in pelle, in ricordo del marito, scomparso, che era un fedelissimo ducatista».
Sotto il profilo aziendale, Ducati cosa significa?
«Io non ho mai trovato in un'azienda, raccolti insieme, tre elementi distintivi e decisivi come in Ducati: l'intelligenza diffusa, l'arte per la cura nel design che trasmette tutto l'italian style e il cuore. Perché chi lavora qui ha passione, entusiasmo, un elevato senso di appartenenza a un qualcosa di unico. Soprattutto da parte dei giovani ingegneri che collaborano anche con la facoltà di Elettronica dell'Università di Padova. Eppoi da noi è presente una forte sensibilità sociale. Costruiremo ora un asilo nido per l'intera comunità a Borgo Panigale e con le scuole tecniche avvieremo il progetto “fisica in moto” per sensibilizzare i ragazzi ai principi della fisica e della meccanica partendo appunto dalla moto».
Veniamo al suo privato. Le esperienze in questi anni trascorsi in Veneto cosa le hanno lasciato?
«In Veneto, intanto, si vive bene e non per nulla, quando lo abbiamo scoperto, con la famiglia si è deciso di stabilirci qui. La Carraro è una bellissima azienda, davvero globale, dove con intelligenza si è arrivati ad una totale internazionalizzazione. Mi ha colpito la lungimiranza di Mario Carraro, imprenditore di grande spessore e visione strategica. In Ferretti mi attirava molto il progetto della quotazione in Borsa mentre un profondo segno mi ha lasciato l'esperienza in Fai-Komatsu accanto a Giovanni Bettanin che nei quattro anni della sua presidenza di Assindustria Vicenza mi ha lasciato totalmente la guida dell'azienda».
E Aps è un triste capitolo? Ritornerebbe a guidare un'azienda pubblica?
«E' inutile tornare alle vecchie polemiche. Tuttavia ricordo che io non ho lasciato Aps, ho concluso semplicemente il mio mandato. Leggendo ora quel periodo credo che i contrasti politici siano finiti per scaricarsi sull'azienda. Per un manager è l'impresa che deve rimanere sempre al centro delle sue azioni, mentre i rapporti e le scelte politiche non sono determinati solo dalle realtà aziendali. Un manager dovrebbe vivere un'esperienza in un'azienda pubblica per capire questi meccanismi».
Resta il fatto che Aps per lei è rimasta un'incompiuta.
«C'erano tre alternative: quotazione, aggregazione con altre realtà o sostanzialmente la vendita. Sono stato chiamato per la prima, l'azionista ha deciso di scegliere la terza».
Cosa l'amareggia di più di quella fase?
«Non essere riusciti a realizzare nulla qui in Veneto a livello di aggregazioni. Eppure con Vicenza c'erano tutte le condizioni ottimali. Lo hanno fatto in Emilia attorno a Hera, in Lombardia perfino Milano e Brescia si sono messe d'accordo, qui niente. Ora Cesare Pillon sta rilanciando il progetto di aggregazioni delle multiutilities e fa benissimo».
I ricordi migliori degli ultimi anni veneti?
«Ricordo con grande affetto Bettanin, il tratto di strada fatto insieme mi ha arricchito molto. E mi mancano le lunghe chiaccherate mattutine con Mario Carraro sui temi del giorno. In Aps la grande professionalità di molti collaboratori, che non ho trovato altrove, uomini perfettamente consapevoli del loro ruolo e della loro missione».
Padova è diventata la sua città. Cosa cambierebbe per renderla migliore?
«Padova come Bologna è una città gradevole, vivibile. Non cambierei nulla, ma valorizzerei di più l'area centrale, le vie d'acqua, il decoro generale. Mi pare peggiorata a livello di graffiti rispetto ad un tempo».
Cosa manca?
«Non vedo grandi realizzazioni, anche se forse sono difficili per le dimensioni della città. Speriamo però nell'auditorium. A me pare che manchi una visione complessiva di quella che sarà la Padova del domani».
Il dibattito sul tram la entusiasma? Lei ha vissuto direttamente la fase iniziale del progetto.
«Il sistema della città ha bisogno di un servizio di trasporto pubblico efficiente. Il tram funzionerà, ma una linea servirà a poco se non si realizzano le altre due, serve una rete. Io credo molto nel trasporto pubblico anche per ridurre l'inquinamento».
I suoi hobby?
«La lettura e le camminate in montagna. Appena posso mi rifugio a Gallio».
Cosa sta leggendo ora?
«Prediligo gli autori sudamericani, li seguo con grande attenzione. Ora sto leggendo però i Mille splendidi soli di Hosseini, bellissimo. Dobbiamo affrontare quelle culture, è importante per capire cosa succede in quelle aree».
Tentazioni di impegno politico?
«No, grazie. Credo che far bene il proprio lavoro sia già un successo».
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