Gli “ombrelli’’ Cia e Kgb sui brigatisti rossi

PADOVA. La «Meglio Gioventù» massacrata al Bataclan dai terroristi dell’Isis, avrà forse letto sui libri di storia che a Parigi, negli anni Settanta, operava Hyperion, una scuola di lingue fondata da tre extraparlamentari italiani, Vanni Molinaris, Corrado Simioni e Duccio Berio, che ebbero un ruolo nella storia delle Brigate rosse. A Parigi si è rifugiato Toni Negri, l’ideologo di Autonomia Operaia eletto deputato nel Partito Radicale ed espatriato per sfuggire al carcere, mai estradato in Italia da Mitterrand e dal governo francese. Per riannodare i fili della memoria di quella stagione che ha segnato la storia d’Italia e del Veneto, oggi il Bo ospita un convegno che, per dirla con le parole di Eugenio Scalfari, ripercorre i legami internazionali dei terroristi rossi che uccidevano con un progetto politico preciso: sovvertire i governi democratici. Ad aprire il convegno, oggi alle 14,30 al Bo, sarà Marc Lazar, storico e sociologo francese, cui seguirà la relazione di Nicola Tranfaglia, storico italiano. A concludere i lavori saranno Antonio Varsori e Valentine Lomellini.
«E’ stato approfondito assai poco il ruolo delle potenze straniere sul suolo italiano negli anni del terrorismo. Le teorie cospirative riducono tutto a spiegazioni estremamente logiche seguendo la regola fondamentale secondo la quale chi ha tratto guadagno da un evento, allora l’ha causato. In altri termini: si ritiene che l’omicidio Moro sia stato nell’interesse negli Stati Uniti? Allora l’ha commissionato la Cia. Fu invece Mosca a beneficiarne, per il tramonto del compromesso storico ed il rientro dell’eresia berlingueriana del Pci? Allora fu senz’altro il Cremlino, attraverso i cecoslovacchi. Alcuni tra i protagonisti più autorevoli del periodo ritenevano che vi fosse stato un intervento esterno rispetto ad alcune azioni terroristiche» spiega Valentine Lomellini.
«A distanza di più di quarant’anni, credo sia giunto il momento di fare chiarezza e utilizzare le armi che la storia ha a disposizione per tentare di spiegare quei tragici avvenimenti. Da qui nasce l’idea del convegno per mettere a confronto non solo gli storici del terrorismo, ma specialisti di Paesi stranieri (Francia, Jugoslavia, Unione Sovietica tra gli altri) ed esaminare le fonti di quegli stessi Stati e comprendere se, stando alla documentazione disponibile, sia possibile affermare che vi fu un’ingerenza, o quale fu la politica governativa o l’atteggiamento dell’opinione pubblica nei confronti dell’Italia del terrorismo», spiega la ricercatrice Lomellini.
Nel concreto cosa significa?
«Vorrei fare un esempio un po’ tranchant: rispetto alle ingerenze statunitensi, molto è ancora da fare. Uno degli storici presenti al convegno che più si è occupato del tema è Giovanni Mario Ceci. Nelle sue ricognizioni negli archivi Usa, poco è emerso sul coinvolgimento della Cia nelle vicende nostrane del terrorismo. Non bisogna essere ingenui. I documenti potrebbero non essere stati pubblicati o semplicemente distrutti per coprire il fatto. Ma per quale ragione, rispetto ad esempio all’omicidio Moro e al coinvolgimento Usa, nessuno pensa mai la questione dal punto di vista opposto, non italo-centrico? A Washington, nel 1978, c’era un Presidente democratico, Jimmy Carter, che aveva affondato la propria identità politica nella drastica e pubblica rottura con le modalità di Nixon-Kissinger, di totale ingerenza negli affari dei Paesi stranieri, anche se alleati. Quale poteva essere il suo interesse nella morte dello statista democristiano? I comunisti non facevano certo più paura come una volta e, a due anni dal clamoroso risultato elettorale del 1976, erano talmente “in mezzo al guado”, per parafrasare il celebre libro autobiografico di Giorgio Napolitano, da non costituire certo il principale problema per Carter, coinvolto in ben altri scenari mondiali».
Quindi la Cia va assolta?
«Bisogna incrociare fonti diverse e l’analisi delle carte del Senato accademico e della facoltà di Scienze politiche aiutano a capire come le istituzioni locali si posero di fronte all’inchiesta e Processo 7 Aprile, i cui protagonisti affondano le proprie radici nell’Ateneo patavino».
Albino Salmaso
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