Guida Espresso 2019, Le Calandre ancora al top

Sono sette quest’anno, due in più rispetto alla precedente edizione, i ristoranti al vertice della ristorazione che hanno ottenuto il massimo punteggio di cinque cappelli, secondo la guida dell’Espresso, presentata ieri a Firenze. Tra le novità di questa edizione 2019 la guida dei vini diventa un inserto di quella dei ristoranti.
Al top dei ristoranti si confermano, oltre alle Calandre di Rubano (Padova), il Casadonna reale di Castel di Sangro con lo chef Niko Romito, l’Osteria Francescana di Bottura a Modena, Piazza Duomo ad Alba, Uliassi a Senigallia, a cui si aggiungono Lido 84 di Gardone Riviera, e Hotel rosa alpina-St. Hubertus di Badia.
Il Cappello d’oro, categoria introdotta l’anno scorso e riservata ai “nuovi classici” che hanno contribuito a cambiare la ristorazione italiana, vede: Caino a Montemerano, Casa Vissani a Baschi, Colline Ciociare ad Acuto, Dal Pescatore a Canneto sull’Oglio, Don Alfonso 1890 a Sant’Agata sui Due Golfi, Enoteca Pinchiorri a Firenze, Lorenzo a Forte dei Marmi, Miramonti L’altro a Concesio, Romano a Viareggio, e San Domenico a Imola.
A quota quattro cappelli un’ampia pattuglia formata da 23 locali: Antica Corona reale-da Renzo, Berton, Borgo Santo Pietro-Meo modo, Casa Perbellini, Contraste, da Vittorio, Danì maison, Del Cambio, D’o Cornaredo, Duomo, Ibla, Hisa Franko in slovenia, Hotel Mandarin oriental-Seta, Hotel Rome Cavalieri-la Pergola, Il pagliaccio, Krèsios, La madia, La peca, La trota dal’63, Lume, Madonnina del pescatore, Taverna Estia, e Villa crespi.
Tra i vini invece ci sono 25 rossi, 11 bianchi, 8 spumanti e 12 vini dolci con cinque bottiglie su cinque.

Cresce la ristorazione veneta e aumentano i cappelli, nonostante qualche piccolo cedimento. Lo segnala la guida “I Ristoranti e i vini d’Italia 2019” dell’Espresso. La cosa più significativa sono le new entry, anche solo come segnalazioni, il che significa che il mondo della tavola veneto è più vivo che mai.
I numeri: Venezia guida la classifica con 31 cappelli e 30 ristoranti segnalati (esclusi i cosiddetti “inoltre”), segue Vicenza con 29 cappelli e 28 ristoranti, poi Verona 19 cappelli e 22 ristoranti, Treviso 18 cappelli e 21 ristoranti, Padova 13 cappelli e 21 ristoranti, Belluno 10 cappelli e 12 ristoranti, fanalino di coda Rovigo 6 ristoranti e nessun cappello.
La chiave di volta, però, sta a Sarmeola di Rubano dove le Calandre guidano la classifica con 5 cappelli - il massimo, e La Montecchia a Selvazzano ora ne conta 2 - grazie alla grande cucina di Max Alajmo: però gli Alajmo sono scesi anche a Venezia quando hanno acquisito il Caffè Quadri che viaggia con 3 cappelli, e Amo è cresciuto rispetto al 2018, conquistando 2 cappelli.
Una holding della ristorazione? Lo abbiamo chiesto a Raffaele Alajmo, amministratore delle imprese di famiglia: «Parlare di holding mi sembra esagerato, diciamo che conduciamo i nostri ristoranti cercando sempre uno stile preciso, come fosse una casa di moda, un atelier. Nei nostri ristoranti i direttori di sala fanno carriera e sono attivi nella gestione: per esempio lo chef del Quadri, Silvio Giavedoni, è ora chef executive anche di Amo, il bar ristorante al T. Fondaco. Ma non stiamo fermi, fra poco apriremo un nostro ristorante al Royal Mansour (hotel 5 stelle, ndr) a Marrakech, un albergo con molto artigianato veneziano, dove porteremo la cucina italiana. E a Milano aprireremo a breve un nuovo concept, del quale però non dico nulla, sennò che sorpresa è?».
Fin qui Raf Alajmo, il quale sottolinea che il figlio Giovanni dirige lo Stern di Parigi, insomma la dinastia continua...
Rimanendo a Venezia, ecco che il Local conquista due cappelli, uno in più rispetto al 2018. Matteo Tagliapietra non sta più nella pelle: «È una conquista di tutta la brigata di cucina, siamo felicissimi». Conferma i suoi tre cappelli anche l’Antica Osteria Cera di Campagna Lupia, dove la cucina di Lionello di solo pesce resta la migliore del Belpaese. Esordisce con un cappello l’osteria Zanze XVI a Venezia, dove fa aggio la cucina di Luca Tartaglia, padovano. Fa centro con un cappello lo Chat qui rit della famiglia Mozzato, con gli chef Davide Scarpa e Leonardo Bozzato.
Nel Padovano esordisce con un cappello il Ristorante 19.94, merito dello chef Stefano Agostini che ha fatto della sua cucina emblema di leggerezza e semplicità. A Pontelongo secondo cappello per Lazzaro 1915. Scrive la guida: “... È una vera fucina di idee, a più di cent’anni dall’antica trattoria di nonno Lazzaro. La cucina di Piergiorgio Siviero è passionale ma rassicurante...” . Premiata con un cappello, esordisce anche l’Osteria V di Trebaseleghe.
Nel Trevigiano la classifica vede in testa l’Undicesimo Vineria con tre cappelli (una conferma), dove nella cucina di Francesco Brutto “le rassicurazioni arrivano strada facendo, quando ci si accorge che nessun piatto è velleitario e che qui l’equilibrio si raggiunge davvero, anche nelle equazioni più difficili”. Esordiscono con un cappello Villa Selvatico a Roncade e Le Beccherie di piazza Ancillotto a Treviso. Mentre sono stabili con i due cappelli il Gellius di Oderzo e con uno La Corte dell’Hotel Villa Abbazia, nonché il Feva di Nicola Dinato.
Nel Bellunese è sacrosanto il passaggio da 2 a 3 cappelli della Locanda San Lorenzo a Puos d’Alpago dello chef e patròn Renzo Dal Farra: “È una tappa obbligata per chi vuole capire che sapore abbia una cucina entusiasmante”. Conferma i 2 cappelli il Dolada di Pieve d’Alpago della famiglia De Prà. Lo stesso per quanto riguarda i tre cappelli del ristorante Aga dell’hotel Trieste a San Vito di Cadore. Scrive la guida: “Una trentina d’anni, chi più chi meno; esperienze internazionali (in particolare in quel di Copenhagen); studio appassionato della botanica. Non è difficile tratteggiare un profilo che accomuni i cuochi italiani del fortunato filone nordico, di cui Oliver Piras e Alessandra del Favero sono tra gli interpreti più credibili”.
In Veneto La Peca di Lonigo dei fratelli Portinari sale da 3 a 4 cappelli, quasi olimpo, mentre Corrado Fasolato, vecchia conoscenza veneziana, porta a 3 i suoi cappelli per lo Spinechile Resort a Schio.

«Questa nuova edizione de “I Vini d’Italia” sceglie una via del tutto differente dalle guide classiche. Abbiamo deciso infatti che non fosse il caso di aggiungere un ulteriore, corposo capitolo all’ingente massa di pubblicazioni annuali sul vino, ma piuttosto di puntare alla realizzazione di un ritratto stilizzato del meglio che abbiamo degustato nell’ultimo anno, rinunciando alla pretesa di assaggiare e giudicare “tutto” ma garantendoci un’assoluta libertà nella scelta». Così scrive Andrea Grignaffini nell'introduzione alla Guida.
Qualche novità c’è, però. Cresce il Sud dalla Campania, alla Sicilia, alla Puglia quanto a vinificazione, a profumi, sapori. Resiste la zona della Franciacorta per le bollicine, mentre il Piemonte è sempre più solido con i suoi Barolo, Barbaresco, Derthona. Si affaccia l’Emilia Romagna, per altro terra di vini generosi.
E, dato l’assunto di partenza, non può stupire che in Veneto la parte del leone la facciano i vini veronesi dal Soave, fino all’Amarone. Meno presente la Marca Trevigiana con il Prosecco, nonostante il boom di vendite e di esportazione: 3 bicchieri per Adami, Astoria, Frozza, Garbara, Spagnol, Villa Sandi, Bele Casel (buona qualità) e 4 bicchieri a Silvano Follador per il suo Valdobbiadene Superiore Brut Nature Millesimato 2017, per il quale scrive la Guida: “I suoi spumanti restituiscono cosi tutto l’afflato minerale e il taglio sapido del terroir delle colline intorno alla zona vocata di Santo Stefano».
Unico 5 bicchieri del Padovano, massimo voto della guida: si tratta del Colli Euganei Fior d'Arancio Cuore di Donna Daria, prodotto dalla cantina Conte Emo Capodilista di Selvazzano. «Un blend di dieci annate di moscato giallo, dice il proprietario conte Giordano, a cominciare dal 2001 e via a salire. La parte più zuccherina la facciamo fermentare molto lentamente, per questo otteniamo ottimi risultati. Siamo molto soddisfatti, d'altro canto abbiamo sempre privilegiato e abbiamo sempre creduto nelle varietà autoctone dei Colli Euganei come il Moscato Giallo».
Dal Padovano al Veronese, passo non breve, certo, ma attraversando giocoforza i Colli Berici patria di splendidi Garganega, Tai Rosso, Torcolato di Breganze (4 bicchieri all'azienda Maculan), così si arriva nella zona del Soave (5 bicchieri al Soave Classico Calvarino 2016 di Leonildo Pieropan) e poi procedendo verso la Valpolicella conquistano i 5 bicchieri: Quintarelli Giuseppe con l’Amarone Classico 2009, Romano Dal Forno con il Veneto Igt Passito Vigna Serè 2004, Bertani Cav. G. B. con l’Amarone Valpolicella Valpantena 2015, e la cantina Zymè con il Veneto Igt Harlequin 2009. Cantina giovane questa Zymè, nata 15 anni fa in San Pietro in Cariano, fondata da Celestino Gaspari, anima enologica della stessa, grande esperienza grazie agli insegnamenti di quel Giuseppe Quintarellli, che per primo aprì le porte del mondo ai vini veronesi. «Sono 20 anni che facciamo l'Harlequin», dice Gaspari, «volevo capire senza nessun compromesso dove si poteva arrivare qualitativamente, creando un blend di 15 vitigni (4 bianchi, anche), usando solo lieviti indigeni e facendo fare alle uve un leggero appassimento di 40 giorni. E i risultati e i premi sono arrivati. Ci vuole passione e voglia di fare, soprattutto».
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