I danni della guerra di religione

Dal Texas a Lampedusa l'immigrazione, specie se sommata alla "questione Islam", incide sul consenso politico. Pure grazie al fatto che le Destre dell'Occidente, ipnotizzate dalla "forza bellica religiosa" dell'attentato a New York nel 2001 ed illuse di trovarne di analoga fingendosi novelli Crociati, si sono ridotte a prendere dal vocabolario ideologico di Al Qaeda la convinzione medievale della guerra perenne tra la Croce (l'Occidente) e l'Islam. Lega compresa, visto che molte sue posizioni appaiono come una sorta di Jiahd alla rovescia.  Che poi qui ci sia del provincialismo strategico, sostanzialmente distratto dal rischio cui potrebbe esporre, ad esempio in Afghanistan, per le nostre truppe facendole apparire, da "portatrici di democrazia", "truppe cristiane" d'occupazione, è l'indice di una malattia autoimmune del Nord: la nostalgia per un "localismo impossibile". E pericolosa pure per la sicurezza interna: perché aggiunge "benzina identitaria" alle tensioni tra le comunità immigrate e le locali. Resta, lo si vede alle elezioni comunali di Milano, che anche in Italia la Destra gioca alla doppia paura: degli immigrati e dell'Islam, chiamando ad una "guerra di religione" dagli esiti imprevedibili. Attenzione, però. Queste, in particolare della Lega, sono posizioni glocal (globali e locali), che danno voce di un sentire diffuso nel Nord del mondo, dal Texas all'Europa ex-comunista. Pertanto, vanno prese sul serio.  Senza esorcizzarle nel nome del cosiddetto "politicamente non-corretto"; bensì valutandole, e se del caso rigettandole, per i loro effetti prima di sicurezza nazionale interna; poi relativamente agli interessi complessivi dell'Occidente. E senza dimenticare che la Lega, similmente a gran parte delle Destre occidentali, pur se ideologizzando comunque mette il dito su piaghe reali. Ricordandoci, sebbene a suo modo, che percezione della sicurezza e democrazia stanno e cadono assieme. Che poi visioni in "stile Lega" dell'immigrazione e dell'Islam creino maggiore sicurezza urbana è dubbio: nel senso che, facilmente, chi gioca a "imprenditore politico della paura" finisce come incendiario invece che come pompiere. Ma è altrettanto vero che rispondervi, come vanamente fa la Sinistra, con generici appelli alla solidarietà è peggio che inutile: è idiota. Anche perché spesso, per dirla alla Woody Allen, «un reazionario è un progressista cui un "nero" (l'altro) abbia rubato il portafoglio».  Piuttosto, si tratta di chiedersi se la "faccia cattiva" in stile leghista del «fuori dalle p...» serva. No, per la lotta al terrorismo; anzi, può essere controproducente per il contrasto a quello di origine interna che necessita, per funzionare, di aumentare presso le comunità straniere la legittimazione sociale dello Stato ospitante. Il che vuol dire, per le democrazie occidentali, rigettare, con l'idea di "reato come propensione etnica" quella che l'Occidente faccia "guerre per il cristianesimo". Qui, naturalmente, nessun cedimento alle sirene del multiculturalismo. Semplicemente, l'Occidente, dopo il sangue delle guerre di religione cattolico/protestanti (iniziate nel'500 per unificare l'Europa nel cattolicesimo), ha fatto della riduzione del conflitto religioso a privata diversità d'idee la ratio della sua stessa democrazia. Certo, pure qui può esservi conflitto culturale. Ma, almeno, a difesa dell'anima moderna, non medievale, dell'Occidente medesimo.  Naturalmente è l'immigrazione in sé, al di là del fattore religioso, a porre difficili problemi. Specie quando il sogno di benessere che l'ha richiamata entra in crisi. E le soluzioni, se ci sono, sono poche e difficili. Ma peggio è aggiungere problema a problema mascherando finte politiche di sicurezza con mobilitazioni elettoralistiche dell'ansia sociale. Perché si va a finire male. Alla faccia dei "ruggiti da comizio" delle nostrane Tigri di carta politiche.

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