Il bottone ci insegna la bellezza del dettaglio

Piccoli musei: a Vigorovea nel Padovano un scrigno di tesori piccoli ma preziosi che raccontano nobiltà, ricchezza ma anche vanità maschile

La bellezza è racchiusa nel dettaglio, anche se a volte non ce ne accorgiamo. È il caso del bottone, intramontabile accessorio che fa capolino sui nostri abiti. Fedele testimone del tempo, iconico e discreto, ha saputo resistere alle rivoluzioni della moda. Neppure zip e velcri, più consoni all’età della fretta, hanno saputo spodestarlo.

Il bottone rimane in primo piano, trasmette un’eleganza perbenista ma gioca con la seduzione. Ecco allora che lo ritroviamo a dare personalità al cappotto, impegnato a rendere aderente la camicia o ad attirare l’attenzione nelle versioni gioiello.

Eppure lo sfioriamo sempre così distrattamente davanti allo specchio, che poco o nulla conosciamo delle sue origini. Merita quindi una visita il Museo storico del bottone “Sandro Partesotti” a Vigorovea nel Padovano.

Una casa privata circondata da un giardino, dove si va a ritroso nel tempo attraverso una raccolta di 8 mila bottoni, di tutte le fogge. Il piccolo museo deve la sua esistenza alla determinazione di Leda Siliprandi Partesotti, che trent’anni fa cominciò a interessarsi di bottoni.

La folgorazione nella bottega di una collezionista a Londra. «Aveva dei bellissimi bottoni dell’Ottocento, mi venne il desiderio di comprarli per venderli dato che in famiglia ci occupavamo di antiquariato» racconta. Ma presto l’idea di doversi separare da quei piccoli capolavori fu sovrastata dalla voglia di tenerli per sé. È l’inizio di un viaggio che porterà Leda a curiosare tra mercatini e venditori online, tra Francia, Inghilterra e Usa.

«Il bottone ci racconta il costume, è lo specchio del tempo. Non è solo questione di moda, ritrae la vanità degli uomini, percorre tutte le epoche e diventò uno status symbol» sottolinea. Nel medioevo servì a dire addio agli abiti fluttuanti: grazie a minuscole palline di legno, osso, stagno inserite nell’asola i lembi di tessuto iniziarono a sottolineare le forme. Il nobile caricava il suo vestito di bottoni d’oro e d’argento, e più era lunga la fila, maggiore la sua ricchezza. I re li adoravano nelle versioni ancora più sontuose con perle, brillanti, ambre, coralli e pietre preziose, oppure dipinti da celebri artisti, poiché la storia del
bottone è anche storia dell’arte. Come lo straordinario bottone del Cellini per Papa Clemente VII: aveva al centro un diamante favoloso ma se ne sono perse le tracce.

«I bottoni più pregiati venivano tramandati come dote e finivano nelle zecche di Stato nei momenti di magra». Ai tempi della Serenissima si arrivò ad emettere delle leggi per limitarne “l’abuso”. Cuciti sulle mantelle, imbrigliati tra pizzi e ricami, impegnati a chiudere corpini, i bottoni venivano ostentati da vanitose dame. Si scopre allora che lo strass fu inventato per adornare i bottoni dei nobili decaduti.

«Anche Mozart, che non era certo ricco, ne aveva una versione con strass quando iniziò a frequentare le corti d’Europa».

Nell’Ottocento il bottone istoriato raffigurava le gesta di Re Artù, ma anche amorini, farfalle, fiori e scene sentimentali con Venezia sullo sfondo. «Nel romanticismo nacquero i bottoni da profumo, vennero trovati in tasca ad alcuni soldati della Secessione. Erano farciti di una pasta odorosa e coperti di velluto, venivano regalati dalla donna all’amato, così che potesse avere il suo profumo sempre con sé» aggiunge Leda.

Poi i bottoni in vetro di Murano, inconfondibili quelli in stile Liberty. Curiosa la vicenda dei 999 bottoncini collezionati dalle miss americane come escamotage per trovare marito, oppure quella di un produttore americano che nel dopoguerra ricavò deliziosi bottoni trasparenti riciclando fogli di plexiglas dalle carlinghe dei caccia. Grazie agli aneddoti di Leda il tour del museo si trasforma sempre in qualcosa di speciale.

«Il mio bottone preferito? Risale al XVI secolo, è in rame sbalzato su una robusta base di ottone e rappresenta dei putti che giocano chinati a terra. L’ho trovato da un’antiquaria di Trieste, faceva parte della collezione di medaglie di suo marito. Porto avanti questo progetto con l’intento di valorizzare l’artigianato in tutti i modi».

Sotto teca, cuciti per formare arabeschi, oppure in mostra

Racchiusi sotto teca ma anche cuciti a formare meravigliosi arazzi colorati. Il Museo storico del bottone esplora la sua vocazione senza limitarsi alla mostra di migliaia di esemplari, ma anche virando alla creazione di pannelli ottenuti assemblando vecchi bottoni per formare arabeschi, decorazioni, oppure ornare accessori nati dalla fantasia della curatrice Leda Siliprandi Partesotti.

Oltre a presentare le diverse correnti che si riflettono sulla manifattura del bottone, dal medioevo al Romanticismo, passando per il Barocco, il Liberty e il Déco, il museo indaga le più moderne forme dell’arte di fabbricar bottoni con uno piccolo spazio riservato ai bottoni contemporanei, selezionati o donati nel corso degli anni.

Tra questi, le creazioni in ceramica Raku firmate dall’artigiana Gloria Tovo, che nel suo laboratorio utilizza l’antica tecnica giapponese di cottura della ceramica, al forno e mediante combustione per poi procedere con l’immersione in acqua, arrivando a ottenere delle colorazioni uniche dell’oggetto.

Come arrivare. Il Museo storico del bottone è in via Piovese 10, lungo la statale 516, proprio al centro di Vigorovea, a Sant’Angelo di Piove di Sacco nel Padovano. Punto di partenza per orientarsi può essere l’uscita della A4 Padova-Zona industriale, da dove imboccare via Frassanedo seguendo le indicazioni per Vigorovea. Va percorsa la SP 35 fino a via Piovese. Il museo è contrassegnato da una grande insegna rosso bordeaux ben visibile dalla strada.


Gratis ma su appuntamento. Una particolarità del Museo storico del bottone è la modalità di accesso. L’allestimento è aperto ai visitatori gratuitamente ma solo su appuntamento. Essendo in una casa privata è necessario concordare la visita con la responsabile, chiamando il numero 349.2692051. ità.
Il museo è dedicato alla memoria di Sandro Partesotti, il figlio scomparso della fondatrice Leda. Era uno stimato insegnante di lettere e antiquario, professionista indimenticato per la sua generos

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