Il dentista parla due ore e vuota il sacco

VENEZIA. La verità di Riccardo Di Cicco, ex cognato di Felice Maniero in carcere da martedì con l’accusa di aver riciclato per anni il tesoro dell’ex boss della Mala del Brenta assieme al broker Michele Brotini, anch’egli in cella, è contenuta nelle due ore di interrogatorio di garanzia che il dentista di Fucecchio (Firenze) ha sostenuto ieri davanti al giudice per le indagini preliminari di Belluno (dov’è detenuto nel penitenziario di Baldenich) Federico Montalto, delegato dal gip veneziano Alberto Scaramuzza. «Come sempre è tutta colpa di Maniero», aveva detto Di Cicco martedì davanti ai finanziari arrivati per arrestarlo. «L’interrogatorio è stato molto ampio, è durato un paio d’ore. Di Cicco ha risposto senza reticenza a tutte le domande poste dal gip, chiarendo e giustificando ogni tipo di addebito», spiega l’avvocato del dentista, Jacopo Folco Peruzzi di Firenze, «Ci sono contestazioni della Procura su cui non siamo d’accordo». Il legale di Di Cicco, in sede di interrogatorio di garanzia, ha chiesto la revoca della custodia cautelare in carcere per il suo assistito o in subordine la sostituzione della misura. La richiesta verrà trasmessa dal gip di Belluno a quello di Venezia, a cui spetta la decisione nei prossimi giorni. Non è però l’unica mossa della difesa che già nelle prossime ore invierà ai pubblici ministeri la richiesta di interrogatorio per Di Cicco «per fornire gli stessi elementi anche a chi ha maggiormente il polso del fascicolo», chiarisce l’avvocato. Nel corso delle due ore di interrogatorio, le domande del gip si sono concentrare in particolare sulla presunta attività di riciclaggio del tesoro di Maniero dopo il 1 gennaio 1999, poiché tutto ciò che è avvenuto prima è stato prescritto. «Di Cicco ha sempre dimostrato grande lucidità nel corso dell’interrogatorio, non ha avuto cedimenti o tensioni. Solo un forte mal di testa».
L’interrogatorio del broker. Ha scelto il silenzio Michele Brotini, comparso ieri davanti al gip di Treviso, dov’è detenuto nel carcere di Santa Bona. «L’ordinanza sulle misure cautelari è lunga 120 pagine, dobbiamo leggerla con attenzione prima di rispondere», spiega l’avvocato Alfredo Auciello di Mira, che difende il broker assieme al collega fiorentino Marco Rocchi. «Ho trovato Brotini spaesato, è la prima volta che finisce in carcere. Con Di Cicco ha fatto il suo lavoro: è un broker che ha risposto alla richieste di un amico su come investire. Inizialmente avrà pensato che fossero i risparmi del dentista. Brotini ha avuto rapporti praticamente solo con Di Cicco. Da noi Maniero è leggenda, ma a Firenze...».
I fatti. «Se viene fuori questo discorso qua, quei soldi non li piglia né lui né lei... perché se interviene lo Stato per tutte le cose... glieli bloccano loro. (...) Lui lo fa adesso a mo’ di... vendetta». È riassunta in questa intercettazione la vicenda che ha riportato l’ex boss della Mala al centro delle cronache. È proprio Maniero, il 12 marzo 2016, a chiedere di parlare con i pm antimafia di Venezia Paola Tonini e Giovanni Zorzi. A loro, “Felicetto” racconta di aver consegnato, tra il 1982 e il 1995, 33 milioni di vecchie lire, provento dell’attività criminosa, all’allora cognato Riccardo Di Cicco, marito della sorella Noretta, con il contributo della stessa Noretta e della madre di Maniero, Lucia Carrain. Di Cicco aveva riciclato i soldi in ville, conti correnti, polizze, auto di lusso, mobili, orologi e molto altro, secondo l’accusa anche con l’aiuto del broker. L’accordo tra Maniero e Di Cicco era che progressivamente il denaro sarebbe dovuto essere restituito a Felice. Questo avviene fino alla metà del 2015 con la restituzione progressiva di 5-6 miliardi di lire, poi il flusso di denaro si interrompe all’improvviso. Maniero insiste, Di Cicco non risponde. Per vendetta e per timore di non vedere più i suoi soldi, Felice a marzo 2016 decide di vuotare il sacco e parlare con i magistrati, rischiando peraltro di essere indagato per auto riciclaggio, e consegnando i beni - con il sequestro - allo Stato.
L’ordinanza.«Maniero non disvela nuovi fatti-reato slegati dal precedente contesto collaborativo, ma semplicemente colma una lacuna della precedente collaborazione fornendo le informazioni necessari al sequestro del danaro, dei beni e di ogni altra utilità provento proprio di quei reati», scrive il gip Alberto Scaramuzza .
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